Valeria Arnaldi per “il Messaggero”
«Sapevo che erano previsti rimborsi ma non conoscevo le cifre, mi sembrava però che non ci fosse nulla di gravoso o pericoloso e quindi mi sono detto: perché no? Avevo 25 anni. Oggi ne ho 33 e partecipo ancora come volontario alle sperimentazioni. Non può essere un lavoro, non paga abbastanza, ma è un valido extra. In una sola sperimentazione ho guadagnato fino a 2600 euro». In media dieci euro l'ora. Giulio Zampini vive a San Martino Buon Albergo, nel veronese, dove lavora come personal trainer e cameriere. Ed è una cavia umana.
«Non mi infastidisce essere chiamato cavia - dice - lo fanno anche i miei amici per scherzare. La gente quando sa cosa faccio, spesso si stupisce, c'è chi dice che non lo farebbe mai, chi è curioso, chi chiede come candidarsi».
E gli altri volontari? «Molti di quelli che ho conosciuto sono studenti di infermieristica o medicina. Ci sono pure lavoratori. Mai visto persone con un bisogno disperato di soldi». La sua vocazione è nata per caso quando, studente di Scienze Motorie in visita in un Centro Ricerche Cliniche, ha lasciato i dati per partecipare a sperimentazioni, attirato dalla curiosità e dal rimborso. La prima chiamata, alcuni mesi dopo.
LA FAMIGLIA
«La famiglia non mi ha ostacolato, mi ha solo invitato a parlare con il medico per assicurarmi che non fosse una cosa rischiosa. In media mi chiamano una volta l'anno. Ho rifiutato solo due volte: una perché si chiedeva la disponibilità per venti giorni, dalle 8 alle 10, e il rimborso non giustificava il disturbo, un'altra perché sarei dovuto rimanere nella struttura 15 giorni e visto che sto bene e posso evitarlo ho detto no. Non mi sono mai tirato indietro per paura. Perlopiù si tratta di testare quanto tempo impiegano i farmaci a essere assorbiti dall'organismo e quanto a essere eliminati. Sono pasticche microscopiche.
L'unico disagio è dover rispettare regole rigide anche nei pasti». Le cavie umane all'estero sono richieste, ma Giulio non è interessato. «Ho visto come vengono trattati i volontari altrove. In Italia i comitati etici sono rigidi, così i controlli.
Ci sono Paesi nei quali a chi partecipa si richiede di firmare una liberatoria, da noi è prevista un'assicurazione e non è mai successo nulla». Cosa pensa dello scandalo tedesco? «C'è tanta ipocrisia. Molti usano farmaci e non sanno che dietro c'è qualcuno che li ha testati. Dovrebbero ringraziare chi fa i test. Non sono disposto a mettere la vita a rischio per la scienza, ma se nessuno fosse salito su un razzo, non avremmo mai avuto astronauti».