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Estratto dell’articolo di Gianni Armand-Pilon per “La Stampa”
«Battisti era il mio idolo musicale».
E quando se l’è trovato in ospedale?
«Ho cercato solo di garantirgli le migliori possibilità in una situazione critica di cui non ho mai parlato – e mai lo farò – per rispetto nei confronti suoi e di tutti i pazienti».
Antonio Del Santo, medico dell’ospedale San Paolo di Milano, specialista in medicina interna e ematologia, se le ricorda bene quelle giornate d’estate del 1998: il ricovero del musicista, le cure disperate, la necessità di mettere tutta la famiglia Battisti al riparo dalla curiosità morbosa del mondo esterno.
Ricorda anche il famoso episodio del bigliettino di Mogol?
«Perfettamente».
Come andò? Battisti riuscì davvero a leggerlo?
«Glielo consegnai io stesso».
Eludendo i ferrei controlli della moglie? Come fece?
«Durante una delle tante visite di controllo che gli facevo. Passavo le mie giornate in ospedale […]».
Torniamo a quel biglietto.
«A me lo diede la collega di un altro reparto. E io lo portai subito in camera di Battisti».
Senza chiedere permesso alla moglie?
«Non era dovuto».
E poi?
«Gli dissi che arrivava da Mogol e che potevo allungarglielo, leggerlo ad alta voce per lui o stracciarlo. Stava a lui, e soltanto a lui, scegliere».
Lucio battisti Grazia Letizia Veronese
E a quel punto lui se lo fece dare.
«Non pensi a una lettera, era giusto un bigliettino, due o tre righe al massimo e un numero di telefono in fondo. Mogol desiderava fargli sapere che lo pensava e che era a sua disposizione per qualsiasi cosa».
Tutto qui?
«Sì, ma quelle parole semplici colpirono Battisti al punto da commuoverlo. L’ho detto e lo ribadisco. Sono l’unico a poterlo fare: ero lì».
Quel biglietto ce l’ha lei, adesso?
«No. Lo tenne lui. Riuscì, non so come, a nasconderlo alla moglie. Non ho davvero idea di che fine abbia fatto».