Riccardo De Palo per “il Messaggero”
«Se noi piantassimo mille miliardi di alberi sul nostro pianeta, potremmo ridurre in maniera significativa la quantità di anidride carbonica e risolvere il problema dei cambiamenti climatici». A parlare è Stefano Mancuso, botanico, accademico e saggista, profeta dalla Plant Revolution.
Ieri il fondatore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale ha ricevuto il Premio Hemingway Avventura nel pensiero, a Lignano Sabbiadoro. Riconoscimenti anche a Dacia Maraini per la letteratura, a Franco Fontana per la fotografia, a Carlo Verdone come Testimone del nostro tempo. Il cineasta ha parlato del suo libro La carezza della memoria, ha confessato di essersi commosso fino alle lacrime nel ricordare certe esperienza della propria vita, e ha detto di voler ora puntare a un vero romanzo.
Professore, basterebbe piantare alberi per fermare il cambiamento climatico?
«Oggi tutti gli sforzi sono concentrati su come ridurre le emissioni di CO2. Ma se lei vuole svuotare una vasca deve togliere il tappo, non chiudere un pochino il rubinetto, altrimenti la vasca continua a riempirsi. Basterebbe accordarsi su questa soluzione, in una delle tante riunioni che si tengono sul clima, come la COP, la Conferenza dell' Onu indetta per il prossimo novembre».
Cosa dovrebbe fare l' Italia?
«L' accordo dovrebbe riguardare tutto il mondo. E il numero di piante andrebbe diviso per la popolazione. A noi italiani toccherebbe di mettere a dimora due miliardi di alberi, basterebbe utilizzare le terre abbandonate dall' agricoltura. Il Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, prevede soltanto investimenti per la transizione tecnologica, ma non per quella ecologica».
Manca sostenibilità?
«L' alimentazione animale - e lo dico da non vegetariano - non è sostenibile: oggi utilizziamo il 75 per cento dei campi coltivati per nutrire gli animali. E da questi otteniamo soltanto il 25 per cento delle calorie consumate dall' umanità. Paradossalmente, è il restante 25 per cento delle terre a fornirci il 75 per cento delle calorie».
La pandemia è anche dovuta a questa spoliazione delle risorse naturali?
«Oggi sappiamo con certezza che negli ultimi 30 anni il numero dei virus che passano dagli animali all' uomo si è triplicato. Sul Covid non abbiamo ancora certezze, ma sappiamo che Ebola si è sviluppato in Africa, dove c' è stata una deforestazione frammentata. Cosa è successo? Quando eliminiamo gli alberi per creare pascoli, gli animali si spostano e si creano nuovi equilibri tra le specie, che prevedono anche l' uomo come ospite. Questo è già successo per Ebola e Hiv, quasi certamente anche per il Sars-CoV-2, nato dalla deforestazione che la Cina sta compiendo per piantare soia o creare nuovi pascoli».
Perché sottostimiamo il valore delle piante?
«Noi non le vediamo proprio; diciamo che uno è un vegetale per dire che non vede e non sente, ed è paradossale, perché le piante sono più sensibili degli animali. Noi non abbiamo bisogno di sentire in maniera più raffinata, perché abbiamo il movimento: se vediamo che qualcosa non va, ci spostiamo.
Invece l' unica possibilità di sopravvivenza delle piante è di sentire che qualcosa sta cambiando intorno a loro con molto anticipo. Noi animali siamo lo 0,3 per cento della massa di tutte le specie viventi e le piante l' 85,5: sono il motore della vita.».
Cosa sta studiando adesso?
«Le capacità cognitive delle piante. Sembra folle, ma le piante sono intelligenti, sono realmente in grado di risolvere problemi. Stiamo studiando la memoria, la comunicazione, e cerchiamo di capire come riescano a sopravvivere in condizioni ambientali che cambiano in continuazione. Nel 2070 il 18 per cento delle terre emerse non sarà più abitabile per estremi termici, oggi lo è soltanto lo 0,8%. Si tratta di cambiamenti epocali».
Cosa rischia l' Italia?
«Tantissimo: fa parte di quelle regioni del mondo in cui il riscaldamento globale avanza in maniera più veloce. Inoltre, è una penisola e l' innalzamento del mare è un fatto, non un' opinione. Sappiamo che Trieste nel 2070 avrà un clima simile a quello che ha oggi Catania.
La desertificazione è un processo in atto in gran parte d' Italia».
Perché non corriamo ai ripari?
«I politici vogliono trovare soluzioni in un tempo sufficientemente breve, il lasso di tempo del loro mandato. Ma qui si parla di problemi che si evolvono nell' arco di mezzo secolo».
Lei ha creato la fabbrica dell' aria: di cosa si tratta?
«È un esempio di ciò che possiamo imparare delle piante. Noi passiamo l' 80 per cento della nostra vita in ambienti chiusi, dove la qualità dell' aria è dalle tre alle cinque volte peggiore che all' esterno. Così abbiamo sviluppato questa piccola serra in grado di prendere l' aria di un ambiente e di depurarla».
Ripeterà l' esperienza dello spettacolo Botanica?
«Siamo andati anche alle isole Svalbard, al Global Seed Vault (dove vengono custoditi i semi di tutte le specie vegetali, ndr), qualche anno fa. L' esperimento andrebbe replicato. Moltissimi mi hanno detto: ho visto Botanica e da quel momento ho cominciato a guardare alle piante in maniera diversa».
Ora a cosa sta lavorando?
«A un libro che racconterà come dovranno essere le città del futuro. Noi le immaginiamo come dei luoghi separati dalla natura, sin da quando abbiamo costruito la prima capanna e abbiamo eretto un recinto per difenderci. Invece, bisogna accogliere il verde, le piante.
Mi lasci parlare da docente di agraria: la città, oggi, è una monocoltura di uomini e le monoculture non funzionano. Dobbiamo integrarci con gli altri organismi viventi».
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