Lettera di Nando Dalla Chiesa al “Corriere della Sera”
Caro direttore, come tanti giovedì sera ho partecipato alle cerimonie di commemorazione della strage di via Palestro. Nell’attesa ho preso posto a un tavolino del bar-ristorante ospitato nel cortile del Padiglione d’Arte Contemporanea. Tipica scuola siciliana per vini e cibi. Elegante, professionale, gentile. Scorro il menù degli aperitivi e ho un sobbalzo.
Uno si intitola «il Padrino».
Ancora lui, ancora la figura maledetta del capomafia a simboleggiare la Sicilia, in un gioco perverso a screditarla dopo il tanto sangue versato. La mafia come balocco, come vezzo. Esattamente come sessant’anni fa, «che bella bambina mafiosa». Fuori, a pochi metri, c’è una lapide che dice «strage di mafia».
Sotto ci sono i fiori portati da autorità e cittadini sin dalla mattinata. Sopra i fiori, un’altra lapide con cinque nomi: Alessandro Ferrari, Carlo La Catena, Sergio Pasotto, Stefano Picerno, Moussafir Driss. I nomi delle vittime. La sera arriveranno almeno venti parenti a ricordarle. Gente che piange ancora, e il Padrino al tavolino. Quando finirà quest’insulto permanente al sentimento civile di una nazione?