Sandro De Riccardis e Orlando Mastrillo per "la Repubblica"
Una vera e propria «fame di denaro», giustificata «non solo da uno spregiudicato desiderio di profitto, ai limiti della cupidigia, ma altresì dalla necessità di “tamponare” i debiti dai precedenti fallimenti imprenditoriali».
L’affare delle mascherine, che ha portato pochi giorni fa il pm di Busto Arsizio Ciro Caramore a chiedere il processo per Irene Pivetti per frode in forniture pubbliche, riciclaggio, contrabbando, bancarotta e altri reati, ha aperto uno squarcio anche sui rapporti con soggetti considerati vicini alla Camorra. «L’unica preoccupazione della Pivetti era quella di mettere le mani sui soldi», scrive la procura. «Ne hanno fatto le spese i clienti, che si sono trovati in mano mucchi di mascherine del tutto inutilizzabili».
irene pivetti a diario del giorno 30 agosto 2023
Pivetti non si sarebbe fatta scrupoli a distribuirle, anche dopo che lei e il genero Camil Grimaldi (indagato) si rendono conto della pessima qualità dei dispositivi: «Di fatto Pivetti ci diede il via libera a consegnare la merce dopo aver parlato con Camil», ricorda una dipendente. Il tutto, aggiunge il pm nella richiesta di arresto poi respinta dal gip (per un problema di competenza territoriale sollevata dai legali Vincenzo Lepre per l’indagato Vincenzo Mega e Filippo Cocco per Irene Pivetti), in un quadro normativo emergenziale, «disatteso quasi completamente dai funzionari della Protezione civile ». Testimoni parlano di «rapporti amicali» tra Pivetti e l’ex vertice, Angelo Borrelli (non coinvolto nell’indagine).
IRENE PIVETTI COSTANTINO VITAGLIANO
«Si conoscevano da tanto — dice al pm un collaboratore di Pivetti — . Intuì che il contratto con la Protezione civile era stato ottenuto in virtù dei suoi rapporti politici». Un altro ricorda che «Pivetti ci aveva raccontato che Borelli aveva urlato al suo vice: “Muoviti, devi fare il bonifico!”».
Dall’inchiesta, oltre al fallimentare progetto di un incubatore di aziende in viale Monza a Milano, affittato anche a Lele Mora, emerge come «Pivetti era entrata in rapporto d’affari con ambienti criminali campani, quasi certamente di matrice camorristica, orbitanti nell’area di Castellammare di Stabia». Il progetto riguarda il contrabbando di idrocarburi, assieme a Giuseppe Vitaglione (già coinvolto in un’indagine sulla vendita di greggio) e Alessandro Di Somma.
Circostanze che «ben evidenziano la caratura criminale di Pivetti: non si faceva alcuno scrupolo a entrare in rapporti di affari (illeciti) con esponenti della criminalità organizzata». «Pivetti mi disse che avrei dovuto andarmene dalla palazzina perché ero malvisto da soggetti con i quali lei voleva collaborare — dichiara Lele Mora — Questi signori mi dissero che diversamente avrei passato un brutto quarto d’ora». «Sul progetto del gas, Pivetti aveva dei potenziali soci campani — conferma un altro teste —. Uno si chiamava Giuseppe, l’altro Alessandro. Uno sembrava Genny Savastano di Gomorra».
Diversi gli sms tra Pivetti e Vitaglione: «Giuseppe, per quello che stiamo costruendo insieme, vorrei chiederle di parlare con suo padre per farmi conoscere di persona», scrive Pivetti nel dicembre 2018. «Non vorrei che nascesse qualche problema per lei se la vedono», è la risposta.
Un mese dopo, Pivetti chiede “la protezione” di Vitaglione: «Dovrei incontrare gente fastidiosa. Mi sarebbe di grande aiuto incontrarli con lei, li aiuta a capire che non siamo fessi». «Io non ho assolutamente mai avuto nulla a che fare con la camorra — ha replicato ieri Pivetti — né ho mai avuto i comportamenti che mi vengono gratuitamente attribuiti».
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