Selvaggia Lucarelli per www.tpi.it
Siamo in una grande provincia del Nord, durante una delle tante mattinate di didattica online per gli studenti delle superiori. In una seconda, la professoressa sta facendo lezione durante la quinta e la sesta ora. Interroga un paio di ragazzi, poi intorno all’una va in pausa, visto che tra le due ore di lezione ci sono 10 minuti di intervallo.
A questo punto succede un episodio spiacevole. Uno degli studenti quindicenni pensa di essersi momentaneamente scollegato e inizia a masturbarsi mentre gli altri – quelli rimasti davanti al monitor – lo vedono in video. E purtroppo, anziché avvisarlo, qualcuno si mette a filmarlo col suo cellulare.
La lezione riprende poi normalmente ma chi ha girato quel video inizia a inoltrarlo agli amici che lo inoltrano agli amici, finché tutto non finisce su Telegram. In pratica, il video di un minore rubato alla sua intimità, diventa qualcosa su di cui ridere e divertirsi. La voce arriva alla scuola e alla presidenza che immediatamente convoca una riunione d’urgenza. Intanto, il ragazzino, comprensibilmente traumatizzato dall’accaduto, va a sporgere denuncia alla polizia postale con i suoi genitori.
Un fatto orrendo, che sarebbe già sufficientemente schifoso per il comportamento degli alunni che lo hanno filmato e di quelli che hanno diffuso il video anche sui social. Riesce però a fare di peggio solo l’insegnante che faceva lezione durante l’ora in cui è accaduto il fatto. Insegnante che, come raccontato da alcuni genitori e come verificato accuratamente da chi scrive, ha inviato una lunga nota vocale alla quinta superiore (evidentemente supponendo che il video stesse girando anche tra i maggiorenni) in cui non se la prende con chi ha diffuso il video, ma col povero ragazzino. Con la vittima, in pratica.
“L’insegnante dice testualmente che quel video con quel “cretino” che fa “quella manchiata là” va bloccato”, racconta la madre di uno studente. E pure che “ne va del buon nome della scuola e anche di quel cretino che deve essere a suo avviso sanzionato come Dio comanda”. Capito? Va sanzionato il ragazzino, non i compagni.
E si preoccupa non dello stato psicologico dello studente quindicenne, ma della reputazione dell’istituto. Non solo, sempre in questo messaggio alla classe aggiunge anche che è in moto la polizia postale da circa un’ora, quindi i ragazzi devono stare attenti. Li esorta proprio a cancellare il video, dice “Bruciatilu!” in siciliano.
Quindi li avvisa pure, così che magari possano cancellare tutte le prove della diffusione. “E non solo”, racconta la mamma, “ma si lamenta con i ragazzi perché dice che a questo punto non può più stare tranquilla neppure con loro quando va in pausa perché “ci sono persone perverse che fanno queste cose”, lamentandosi pure perché “questo tipo” l’aveva pure interrogato l’ora dopo”.
Insomma, nella speranza che questo video venga intercettato dalla polizia postale e i responsabili puniti, viene da chiedersi: ma che insegnante è una docente che colpevolizza la vittima, per giunta minorenne, e non i carnefici? E non solo: l’invito a “bruciare” quel video, a eliminare le prove della diffusione perché è venuta al corrente della denuncia in polizia è un comportamento ai confini della legalità su cui io, se fossi al posto dei genitori del ragazzino, inviterei ad indagare.
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