Margherita De Bac per il "Corriere della Sera"
Ranieri Guerra, direttore aggiunto dell'Oms, la curva sembra salire con minore velocità, ma i casi aumentano. Qual è la verità?
«Non c'è contraddizione. Assistiamo al rallentamento della rapidità di trasmissione del virus che non equivale al calo dei casi. La salita è meno ripida. Sono probabilmente gli effetti del primo Dpcm (24 ottobre) che ha introdotto misure comunque molto leggere. Poi ce ne sono stati altri due, l'ultimo dei quali legato all'introduzione delle zone a colori determinate dal sistema di monitoraggio, concordato da Governo e Regioni. Ed è da questo che attendiamo risultati più visibili.Tempo una decina di giorni».
L'Italia ha adottato il sistema delle zone di rischio differenziate. Altri governi non l'hanno ritenuto efficiente?
«Al contrario. L'Italia ha messo in piedi un monitoraggio molto articolato, basato su indicatori complessi, alimentati dal flusso di informazioni che le Regioni trasmettono a una cabina di regia formata dal ministero della Salute, dall'Istituto Superiore di sanità e dalle stesse Regioni. Un meccanismo analitico che non tutte le organizzazioni sanitarie possono permettersi».
Il meccanismo non è farraginoso?
«No, alle Regioni vengono richiesti dati ordinari, ma di qualità e inviati tempestivamente. Il problema è che la comunicazione in questo momento iniziale ha cadenza settimanale. Per essere ancora più efficace,la frequenza di invio e analisi dei dati dovrebbe essere più elevata, almeno due volte alla settimana. Così si garantisce tempestività e appropriatezza delle azioni restrittive e di rilascio. Le Regioni che non riescono a fornire i dati nei tempi giusti vengono assegnate automaticamente a una zona critica. A mio parere, anziché metterle in chiusura immediata, sarebbe più opportuno aiutarle. Lo scopo degli indicatori è anche correggere i punti di sofferenza che vengono identificati».
Com' è la qualità dei dati?
«Inizialmente ci sono stati alcuni dubbi sulla loro credibilità. Adesso possiamo dire che rispecchiano molto fedelmente la situazione. Sicuramente si andrà sempre meglio. Le Regioni hanno capito benissimo che le informazioni devono essere puntuali e attendibili e che i dati non possono essere elemento di contrattazione, altrimenti non ce la faremo a uscire dall'emergenza».
Ventuno indicatori per calcolare il rischio non sono troppi?
«No, la griglia di indicatori è congegnata molto bene e rispecchia la realtà sul campo. Inoltre nessuno vieta di intervenire per rendere questi parametri più snelli. Comunque meglio procedere così in questo momento, piuttosto che con chiusure generalizzate. Credo che l'andamento della curva darà ragione al Governo che lo ha fortemente voluto».
Che Natale sarà?
«Bene che vada sarà un Natale sobrio, anche se i numeri dell'epidemia migliorassero. Sarebbe un grosso errore lasciarsi andare, come è avvenuto in estate. Il quadro è molto chiaro. Il virus si trasmette grazie ai contatti interumani. O li limitiamo spontaneamente con il senso di responsabilità a cui continuiamo a fare appello, oppure ci dovranno essere chiusure imposte con le conseguenze economiche e sociali che ormai conosciamo bene. Una scorciatoia non esiste».
Previsioni?
«La curva sta rallentando e tra poco comincerà a scendere di nuovo ma si allungherà nel tempo, rispetto a quella della prima ondata in quanto abbiamo più casi, diffusi sull'intero territorio nazionale, diagnosticati anche molto meglio, grazie ad una attività di test in continua crescita. E non ci dimentichiamo che siamo appena all'inizio della stagione invernale».
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Una terza ondata è prevedibile?
«Le epidemie si comportano così. La curva diventerà meno ripida ma questo non significa che il virus sparirà. Come la scorsa estate resterà sotto traccia e prima di allontanarlo per sempre passerà parecchio tempo. Quando i vaccini arriveranno sarà anche necessario agire in fretta per proteggere la popolazione».
La rete sanitaria regge?
«Il problema ora sono i ricoveri nei reparti di medicina. I letti molto spesso sono occupati da persone con bisogni sociali, più che clinici. È urgente la creazione di strutture alternative per liberare gli ospedali e garantire a persone in sofferenza, magari anziane e sole, il supporto e la sicurezza. È un aspetto che preoccupa più dell'occupazione dei letti di terapia intensiva dove i ricoveri sono appropriati dal punto di vista clinico».
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