Nicola Pinna per la Stampa
Giuseppe Morelli aveva già deciso che oggi sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita. Avrebbe aspettato la chiamata dell' avvocato e poi l' avrebbe fatta finita. «Dopo tanti anni non avevo più la forza di sopportare quest' ingiustizia. Non avevo più un briciolo di lucidità per stare dentro a una cella. Dopo tutto questo tempo, tra l' altro, non ho ancora capito come sono finito in una storia così grave. Sono innocente, non ho fatto del male, ma i tribunali italiani non mi hanno dato la possibilità di dimostrarlo».
DETENUTO IN ATTESA DI GIUDIZIO
Giuseppe Morelli parla e piange, si guarda intorno, evidentemente disorientato dal caos che ha trovato fuori dal carcere. La sua vita è ricominciata ieri, al termine di un incubo iniziato a sua insaputa nel 1994. Lui l' ha scoperto nel 1999, quando la polizia di mezza Europa si è messa sulle sue tracce per notificargli un ordine di arresto e una sentenza definitiva per sequestro di persona a scopo di estorsione. Senza saperlo, senza l' assistenza di un avvocato e senza aver mai ricevuto la notifica di un atto giudiziario, Giuseppe Morelli (che oggi ha 69 anni) si è ritrovato sulla testa un' accusa pesantissima: quella di aver fatto parte del commando che il 27 ottobre del 1979 sequestrò la farmacista brianzola Emilia Mosca. La donna venne liberata 4 mesi dopo ad Appiano Gentile e a distanza di qualche anno un pentito calabrese raccontò alla polizia di aver organizzato quel rapimento insieme ad altre 5 persone.
Detenuto-in-attesa-di-giudizio-1
Tra cui Giuseppe Morelli, un emigrato originario di Pagani, in provincia di Salerno.
«Io allora stavo già in Germania, facevo il cuoco. Del sequestro non so nulla, ma la cosa più grave è che non immaginavo di essere finito in un processo con quest' accusa». Per un incredibile pasticcio giudiziario, l' anziano viene difeso da un avvocato d' ufficio che poi rinuncia e non viene mai sostituito, per cui gli atti del processo finiscono in uno studio legale che non se ne occupa. Di fatto, accade che nel 1999 il cuoco campano viene condannato a 26 anni di carcere. E così scatta la rogatoria internazionale.
«Sono stato arrestato in Polonia e anche ad Amburgo, dove avevo aperto un ristorante, ma in entrambi i casi sono stato rilasciato in poco tempo, perché i tribunali che dovevano convalidare il fermo hanno deciso che mancavano i presupposti per tenermi in carcere».
Secondo i giudici tedeschi e polacchi, si legge ora negli atti, i tribunali italiani non avevano assicurato a Giuseppe Morelli le garanzie difensive. E così la richiesta di arresto è stata respinta. «Io, però, volevo chiarire la mia posizione e così sono tornato in Italia: mi sono consegnato alla Polfer di Milano e mi hanno arrestato. Credevo di poter dimostrare la di essere innocente, invece mi hanno negato ogni diritto e mi hanno sbattuto in cella. Dietro le sbarre mi sono ammalato, trattato come uno dei peggiori delinquenti». Una vicenda che ricorda Un detenuto in attesa di giudizio, film del '71 con Alberto Sordi.
detenuto in attesa di giudizio
Sembrava che per la riapertura del caso non ci fossero i presupposti, finché gli avvocati Carlo Figus e Attilio Villa non sono riusciti a dimostrare che gli atti non notificati nei tempi previsti dal codice di procedura penale annullano la sentenza. E così ieri questo caso di malagiustizia si è risolto di fronte alla Corte d' Assise di Monza che ha ordinato la scarcerazione del cuoco campano che nel frattempo è diventato un vecchietto. Il giudice ha letto la sentenza senza nascondere la commozione e Giuseppe Morelli pochi minuti dopo ha rivisto la luce. Sotto il sole di Oristano, in Sardegna, visto che da qualche tempo era stato trasferito in un carcere di massima sicurezza, in mezzo ai boss della criminalità organizzata. «Lo Stato italiano dovrà as