Estratto dell’articolo di Valentina Conte per “la Repubblica”
Dopo la fuga dei cervelli, la fuga delle mamme. Quando la donna diventa madre, in un caso su cinque smette di lavorare. E si unisce a quel terzo di donne che non lavoravano neanche prima.
L’Italia è tra i pochi Paesi Ue, se non l’unico, in cui chi non è maschio deve scegliere: o lavora o mette su famiglia.
Come se il figlio fosse un ostacolo alla piena indipendenza professionale ed economica della donna. Lo è alle nostre latitudini. Non il solo, ben inteso. Ce lo ricorda il recente dossier del Servizio studi della Camera dedicato all’occupazione femminile.
L’Italia annovera il tasso di occupazione femminile più basso d’Europa. […]
Nonostante impegni Onu e Pnrr, strategie europee e nazionali. Alla fine del 2022 l’Italia contava il 55% di occupate contro il 69% della media Ue. Quattordici punti di divario. Il 18% poi delle (poche) lavoratrici lascia il posto quando arriva un figlio.
Oltre la metà lo fa perché non riesce a conciliare la vita a casa con quella al lavoro. Il 19% per considerazioni economiche, visto il costo della babysitter e la scarsità degli asili nido. Ce ne sono 13.518 in Italia per 350 mila posti, il 28% sul totale dei bimbi sotto i tre anni. L’obiettivo europeo fissato per il 2010 era il 33%. Quello per il 2030 al 45%. Lontani anni luce.
Dice il rapporto, citando i dati Istat, che dopo la pandemia l’offerta nei nidi è cresciuta di 1.780 posti. Ma «le richieste di iscrizione sono in gran parte insoddisfatte, soprattutto al Sud: 66,4% nel pubblico, 48,7% nel privato».
Il divario tra uomini e donne, quanto ad occupazione, pare un fossato: 17,5 punti che in presenza di figli lievita al 34%. Quello tra donne è però il più eloquente: le occupate tra 25 e 49 anni con un figlio sotto i 6 anni sono il 55,5%, quelle senza figli e nella stessa fascia di età arrivano al 76,6%.
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