Fabiana Magrì per "la Stampa"
Schmuel Peleg entra in tribunale
Nel riserbo più totale delle famiglie Biran e Peleg, gli avvocati stanno terminando di compilare le dichiarazioni giurate. Domani mattina si presenteranno in aula, al Tribunale della Famiglia nel distretto giudiziario di Tel Aviv, per affrontare la prima vera udienza del caso di Eitan Biran, a distanza di due settimane da quella preliminare. I tre appuntamenti, consecutivi e a porte chiuse, convocati eccezionalmente a cavallo del fine settimana saranno probabilmente, secondo fonti legali, anche quelli conclusivi.
La giudice Iris Ilotovich Segal dovrà pronunciarsi sul ritorno di Eitan in Italia in base alla Convenzione dell'Aja in materia di sottrazione internazionale di minori, un documento a cui aderiscono sia Italia sia Israele. Il trattato, a cui a metà settembre si è appellata Aya Biran, la zia paterna del bambino e sua tutrice legale, prevede una procedura d'urgenza e un verdetto entro sei settimane dalla data di inizio del procedimento. Gli ultimi quindici giorni sono serviti alla giudice per tastare il terreno.
Con una prima decisione temporanea, lo scorso 23 settembre, aveva stabilito che i due rami della famiglia si alternassero nella cura del bambino, già estremamente provato, fisicamente e psicologicamente, dalla tragedia del Mottarone di cui è l'unico sopravvissuto. E dal rocambolesco viaggio architettato dal nonno materno Shmuel Peleg, che l'11 settembre ha prelevato il nipotino di 6 anni dalla sua residenza a Pavia, senza il consenso della tutrice legale (la zia Aya), violando la legge italiana. Durante questo periodo cuscinetto, creato per favorire - anche forzatamente - una condivisione e un avvicinamento tra le famiglie, le dinamiche e le relazioni non sarebbero in realtà affatto migliorate.
E gli avvocati dei Biran in Italia hanno confermato quanto riferito da altre fonti in Israele. Cioè che le disposizioni della corte sono state rispettate ma non senza qualche intoppo, che avrebbe richiesto l'intervento del giudice. Intanto, da qualche giorno, in Israele sono arrivati da Pavia anche lo zio Or Nirko, il marito di Aya, e le loro due figlie, le cuginette di Eitan. Dopo l'udienza preliminare, anche il nucleo familiare italiano si è così ricomposto attorno al bambino. Sulla salute di Eitan, sulle sue condizioni in questo delicatissimo momento, gli avvocati di entrambe le parti hanno chiesto il silenzio dei media. Un gesto di riguardo basato sulla volontà di tutelare la privacy del bambino. Sembra sempre difficile, a questo punto, una riconciliazione o un accordo.
Biran e Peleg, quindi, di nuovo in aula. Ma questa volta non sarà un faccia a faccia tra la zia Aya e il nonno Shmuel. Ciascuno di loro potrà chiedere l'intervento di altre cinque persone, la cui funzione sarà eventualmente resa nota dai rispettivi legali al termine dell'assise. La posizione dei Biran sembra piuttosto ovvia, cioè l'applicazione alla lettera degli articoli della Convenzione dell'Aja. Una possibile strategia processuale dei Peleg si può invece evincere dalle loro ultime interviste.
Era stato il nonno di Eitan, di fronte alle telecamere dell'emittente israeliana N12, a dichiarare di aver perso la fiducia nel sistema giudiziario italiano. Dichiarazioni che, se ribadite in aula e fatte proprie dalla corte, potrebbero creare non pochi imbarazzi in ambito diplomatico. Uno scenario tuttavia così estremo che, secondo una fonte legale vicina al procedimento, sarebbe al limite del possibile.
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