DA PELLICOLE DI SERIE B A CULT MOVIE - IL FENOMENO DEI “MUSICARELLI”, DA MORANDI A RITA PAVONE, DA AL BANO A ROMINA, DA CELENTANO A MINA, NELL’ITALIA DEL BOOM DEGLI ANNI '60 - UN DOCUMENTARIO DI SHEL SHAPIRO PRESENTATO AL TORINO FILM FESTIVAL - "QUEL GENIO PELOSO DI LUCIO DALLA"

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1.  DAL DOPOGUERRA AL CINEMA A COLORI

Emiliano Morreale per la Repubblica

 

shel shapiro (2) shel shapiro (2)

«All'epoca l’Italia sembrava appena uscita dalla guerra. Era un paese in bianco e nero. Improvvisamente, non si sa come, è diventato a colori, e il bianco e nero è scomparso». Shel Shapiro, leader dei Rokes, veniva da Londra, e con questa frase descrive fulmineamente il passaggio dei primi anni Sessanta. La si può ascoltare nel documentario Nessuno ci può giudicare, prodotto dal Luce e diretto da Steve Della Casa e Chiara Ronchini. Il film, visto ieri al Torino Film Festival, è dedicato al fenomeno dei “musicarelli”.

 

Con questo termine, spregiativo ma in fondo allegro, indicava i film interpretati dai cantanti degli anni 60, che impazzarono al botteghino italiano. Dopo capostipiti come I ragazzi del juke- box (1960) e Urlatori alla sbarra (1960), i film ebbero una nuova impennata con la serie di Gianni Morandi e Laura Efrikian, da In ginocchio da te (1964) in poi, coprendo tutto il decennio fin dopo il ’68 con Al Bano e Romina, Mal, Mario Tessuto. Dopo gli spaghetti western e i film di Franchi e Ingrassia, i musicarelli sono stati il filone più redditizio dell’epoca.

 

the rokes the rokes

Oggi, nella loro ingenuità, quei film sono una fotografia candida di un paese in pieno boom e in cui il conflitto generazionale è evocato in toni rosei. Arrivava quella che una sociologa ha definito “la prima generazione”: i giovani come li intendiamo oggi, con un’identità, gusti e consumi distinti dai “matusa”. Al centro dei musicarelli c’è proprio questo: la lotta tra “urlatori” e “melodici” (idealmente incarnati da Claudio Villa), o la coppia di innamorati contrastata dal senex, interpretato da comici della vecchia guardia come Nino Taranto. Dopo figure di passaggio come Domenico Modugno e Fred Buscaglione, la canzone degli anni 60 sarà sempre più smaccatamente giovanilista, e nascerà anche il fenomeno della canzone estiva (la prima, dicono gli storici, è Legata a un granello di sabbia cantata da Nico Fidenco).

morandi morandi

 

Il cinema si butterà nel fenomeno inventandosi un filone sentimentale semplice semplice, con intrecci vicini al fotoromanzo, in cui inserire i numeri musicali di Mina, Celentano, Caterina Caselli o Rita Pavone (diretta da Lina Wertmuller sotto pseudonimo maschile in film come Rita la zanzara e analizzata da Umberto Eco in Apocalittici e integrati). La strada era stata aperta dal fiorente sottogenere del cinema musicale napoletano, che negli ultimi anni era diventato sempre più “giovanilista” con film come Cerasella o Guaglione, interpretati dal futuro Terence Hill.

 

celentano dolce vita celentano dolce vita

Ma in quegli anni anche il cinema “serio” sarà pervaso da quelle note: e non solo per la folgorante apparizione del Molleggiato nella Dolce vita di Fellini, ma per tutti quei film che descrivono un’epoca utilizzando, per accompagnamento o per contrasto, un mondo di suoni nuovi. Film come La parmigiana o Io la conoscevo bene di Pietrangeli, oppure Il sorpasso di Dino Risi, sono anche suite di canzonette, quelle che catturano una stagione e che paradossalmente resistono proprio in virtù del loro essere così effimere. Se il grande critico André Bazin diceva che i registi italiani, anche i più seri e impegnati, non sanno mai resistere al “demone del melodramma”, negli anni 60 essi furono anche, per un lungo attimo, posseduti dal diavoletto del musicarello.

 

2. RITA PAVONE: “MA I MIEI NON ERANO PROMOZIONALI"

Arianna Finos per la Repubblica

 

rita pavone rita pavone

Rita Pavone non ha mai amato il termine “musicarello”: «Nel senso che ho sempre disdegnato quel tipo di film scritto per gratificare il cantante e far conoscere le canzoni del nuovo album. Nel mio Rita la zanzara, invece, le canzoni erano al servizio della storia: Quanto sei antipatico, La zanzara, La Svizzera. Lina Wertmuller aveva una mentalità americana, stile stupendo, costumi e scenografie che lo rendevano vicino al mondo di Doris Day e alla prima Shirley MacLaine».

 

Però il suo film con Totò, “Rita, la figlia americana”, era un musicarello.

 

«Sì. Cantavo Cuore, Stasera con te, Solo tu e Plip. Fu il mio debutto al cinema. In albergo Totò, che non ci vedeva quasi più, mi scambiò per la ragazza che doveva portargli la camicia. Io non feci una piega: “Principe, sono Rita Pavone”. S’alzò per scusarsi. “Non si preoccupi, io fino a poco tempo fa facevo la camiciaia”. Difficile non ridere sul set alle battute: “Vai, chiuditi in camera e portami la chiave”. Ma i film successivi con la Wertmuller mi hanno gratificato di più».

 

“Rita la zanzara”, con Giancarlo Giannini, incassò un miliardo di lire. Nel seguito, “Non stuzzicate la zanzara”, c’era Giulietta Masina.

 

RITA PAVONE 2 RITA PAVONE 2

«Era perfetta per interpretare mia madre. Diceva che avevamo tutt’e due occhi clowneschi, ridenti ma con malinconia. Nel film fingeva di non saper ballare, ma era una tanghera perfetta».

 

Poi ci fu l’incursione western con “Little Rita nel west”.

 

«Numeri musicali meravigliosi e un finale fantasy, con il cavallo verso il cielo, come in un film di Harry Potter».

 

E un grande Lucio Dalla.

 

«Era reduce da un Sanremo andato male. Il produttore suggerì: “Nel film c’è un ruolo da Sancho Panza, ci mettiamo dentro Lucio”. Non me lo feci dire due volte, l’ho sempre considerato un piccolo grande genio peloso...».

 

 

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