Natascia Ronchetti per Il Venerdì-la Repubblica
Qualcuno ha cominciato per caso, la maggioranza ha invece voluto sperimentare il modello della socialità. Indipendentemente dalle differenti motivazioni di partenza, nessuno è più disposto a fare marcia indietro per tornare alla vecchia abitudine della pausa pranzo a base di tramezzini consumati rapidamente nel bar vicino all' ufficio, quasi sempre in solitudine.
È così che anche in Italia, a partire da Milano, si sta diffondendo il social lunch: qualcosa di più di un pranzo giornaliero con i colleghi di lavoro - dirigenti o sottoposti che siano - visto che il cibo diventa un collante per accrescere il benessere e la coesione del team.
Sembra che condividere il pranzo aumenti anche la produttività. Negli Stati Uniti se ne sono accorti da tempo, tanto da aver trasformato la classica pausa in un momento di condivisione di buoni piatti (anche equilibrati sotto il profilo nutrizionale) in aree appositamente attrezzate per favorire la convivialità e il relax.
Una prassi consolidata come nuova strategia di gestione delle risorse umane e come politica di welfare che, dopo essersi radicata nella Silicon Valley, in California, ha preso piede rapidamente nel resto degli Usa con un bel corredo di autorevoli supporti accademici, tra i quali una ricerca dei dipartimenti di Scienze sociali e Scienze nutrizionali della Cornell University. L' ateneo americano ha dimostrato infatti che il consumo in compagnia dei pasti, sui luoghi di lavoro, migliora sensibilmente le performance dei dipendenti, generando maggiore cooperazione.
A Milano, la prima città italiana che ha importato il cosiddetto social eating aziendale, sono già una trentina le imprese che lo hanno introdotto come pratica quotidiana. Tra queste Versace, Facebook e la divisione grandi aziende del quartiere generale milanese del gruppo assicurativo Generali. Un piccolo boom che si porta dietro un indotto di giovani start up che forniscono giornalmente pasti completi come Foorban, ristorante digitale costretto a modificare la propria offerta per rispondere alla domanda in costante crescita da parte delle aziende.
Tra queste anche la sede lombarda di uno dei più grandi studi legali del mondo, Whiters, che ha uffici nei cinque continenti, e che a Milano conta cinquanta dipendenti, tra avvocati e impiegati. «Abbiamo inaugurato il social lunch da alcuni mesi, prima molti di noi si portavano il pasto da casa, per poi mangiare ognuno per conto proprio» spiega Giulia Cipollini, avvocato.
«Oggi pranzare tutti insieme, anche con i dirigenti dello studio, significa condividere problemi, dubbi, riflessioni. Con il risultato che abbiamo visto crescere l' armonia tra i colleghi. Nessuno di noi va più al bar da solo per un panino veloce. È troppo stressante».