Tommaso Montesano per “Libero Quotidiano”
I politici hanno un motivo in più per mantenere le promesse elettorali. Se non lo faranno, da ieri è lecito sbeffeggiarli in pubblico. Anche con tanto di manifesti nei quali gli avversari danno del «falso, bugiardo, malvagio, ipocrita» all' amministratore che si è rimangiato la parola data.
È destinata a rivoluzionare la comunicazione politica, la sentenza con la quale la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ha assolto definitivamente sei ex consiglieri comunali di Furci Siculo - circa 3.500 anime in provincia di Messina - dall' accusa di diffamazione nei confronti dell' ex sindaco Bruno Antonio Parisi.
Nel 2011, i consiglieri di opposizione Sebastiano Foti, Carmelo Andronico, Beniamino Lo Giudice, Alessandro Niosi, Saverio Palato e Agatino Vinci avevano affisso lungo le strade cittadine un manifesto nel quale prendevano di mira il primo cittadino, rinfacciandogli, in modo colorito, di aver tradito le promesse elettorali. Parisi, naturalmente, non aveva gradito e si era rivolto alla magistratura per far valere le proprie ragioni. E nel processo di primo grado, nel marzo del 2014, il tribunale di Messina gli aveva dato ragione.
Escludendo, per i sei esponenti dell' opposizione, l' esistenza del diritto di critica politica «viste le connotazioni personali delle ingiurie contenute nel testo dei manifesti». Da qui la condanna degli imputati, che peraltro avevano riconosciuto la paternità del manifesto, spiegando come il loro intento non fosse denigratorio, «ma frutto di una decisione politica diretta».
Un anticipo della volontà di ricorrere in appello, come poi è avvenuto. E proprio i giudici di secondo grado di Messina, nel marzo 2016, avevano dato ragione ai sei consiglieri, stabilendo che quelle parole - «falso, bugiardo, malvagio, ipocrita» - erano sì «offensive», ma «pertinenti», da ricondurre all' interno dello scontro politico. Uno scòrno per l' ex sindaco Parisi, che si era costituito parte civile nel processo al fine di ottenere anche il risarcimento del danno, pronto a sua volta a impugnare la sentenza di appello di fronte agli ermellini del Palazzaccio di piazza Cavour.
Ma le toghe della Suprema Corte hanno rigettato il ricorso dell' ex primo cittadino, confermando la pronuncia dei giudici di appello. Con la sentenza depositata ieri - la numero 317 - gli emellini hanno spiegato che il verdetto dei giudici di merito è corretto perché gli epiteti rivolti a Parisi «presentavano una stretta attinenza alle vicende che avevano visto l' opposizione contrapporsi al sindaco». Oggetto dello scontro era la promessa, da parte dell' allora sindaco, di rinunciare in caso di elezione all' indennità di funzione. Impegno, ricordano i giudici, disatteso.
Un «mancato adempimento delle promesse elettorali» peraltro accompagnato dall' assenza di una comunicazione pubblica sul «ripensamento» da parte del sindaco. Insomma, nessun attacco «alla dignità morale e intellettuale» di Parisi, quanto una legittima critica alle «scelte politiche e amministrative» della giunta.
Una pronuncia che potrebbe incattivire ulteriormente, e stavolta con la copertura della giurisprudenza, il duello elettorale alle porte. I giudici di fatto hanno sdoganato quello che negli Stati Uniti è realtà da decenni: la campagna elettorale "contro".
Al di là dell' oceano, del resto, l' analisi dei comportamenti dell' elettorato ha permesso di accertare che gli spot elettorali che screditano l' avversario sono più efficaci di quelli che promuovono il programma politico. Figurarsi cosa potrebbe accadere in Italia, con i partiti liberi di denunciare, anche con un linguaggio al limite dell' insulto, i flop e le mancate promesse dei rivali politici. Se è lecito affiggere manifesti con l' elenco delle bufale degli avversari, sarà bene abituarsi alle città tappezzate di carta.