Francesco Piccolo per il “Corriere della Sera”
C' è un momento incomprensibile negli ultimi secondi dell' anno. Non proprio in quelli del conto alla rovescia, ma poco prima, diciamo all' interno degli ultimi due minuti. C'è un momento, anche se si è accesa la tv su Raiuno e appare il countdown in sovrimpressione - c' è un momento in cui se ci si guarda intorno, sono spariti tutti. Un momento in cui ci si perde, ci si distrae, ci si allontana dalle bottiglie da stappare, qualcuno va in bagno, qualcun altro comincia a raccontare una storia lunghissima a uno sconosciuto, un altro dice distratto: ma mica è già mezzanotte?
C'è sempre questo momento alle feste, alle cene, dopo che si è organizzato alla perfezione il brindisi allo scoccare preciso del nuovo anno. Evidentemente gli esseri umani sanno, in qualche parte ancestrale della loro coscienza stratificata nei millenni, che questo passaggio simbolico è un'invenzione e istintivamente lo respingono, o almeno provano a farlo.
È come se all'improvviso un'ondata di razionalità colpisse tutti insieme gli esseri umani sparsi nelle case o nei locali del mondo, per minare la regola da cui siamo partiti, un ricatto che ci hanno inculcato da quando siamo nati: è Capodanno e dobbiamo divertirci, sfrenarci, ubriacarci.
Anzi, quel momento in cui tutti si disperdono è un lampo di maturità, perché diventare persone adulte vuol dire, tra le altre cose, aver capito che non è un obbligo divertirsi a Capodanno, e se la serata è stata mediocre non è una sconfitta. Bisogna diventare persone molto assennate per arrivare al principio zen che non è essenziale andare a letto ubriachi alle sei di mattina.
Ma i secondi passano e per fortuna c' è qualcuno che si rende conto, preso dall' ansia del fallimento della serata, allora sente di dover urlare, scuotere, dire: ma che fate? Venite qua! E come per miracolo, otto secondi prima della mezzanotte, sono tutti pronti ai loro posti, con i bicchieri in mano, i tappi pronti per essere stappati - ma ecco che al grido collettivo di «meno sei!» un tappo vola verso il soffitto e un individuo mortificato con la bottiglia aperta dice: scusate, si è aperta, non so come.
Ci sono anche quelli che restano soli a casa, che sono andati a dormire alle dieci e mezza dicendo abbiamo brindato con quel po' di vino che era rimasto, e ostentano indifferenza verso il nuovo anno, come se volessero mettere in discussione tutta la questione della misurazione del tempo con i metodi dell' umanità. Ma anche questo è troppo.
Perché cosa importa che è insensato? Che importa che zampone e lenticchie sulla tavola poi non le mangia nessuno e quando si raffreddano sembra fanghiglia? Che importa che si tratta di una convenzione? È Capodanno, di conseguenza si dice che quest' anno non vedevamo l' ora che finisse, che è stato brutto (anche se non lo è stato), e che ci aspettiamo molto dal nuovo anno, da noi stessi e dagli altri, e saremo migliori, e ci occuperemo di più di genitori, figli, parenti, amici, poveri, affamati, barboni. Ci occuperemo di tutto, promettiamo a noi stessi mentre brindiamo con spumanti scadenti e dolciastri.
Sappiamo essere molto buoni a Capodanno, sappiamo promettere un anno fantastico, diverso, è come se cantassimo tutti in coro la canzone di Tenco «vedrai che cambierà, forse non sarà domani, ma un bel giorno cambierà». Ma poi il tre gennaio tra salvare l'umanità dalla fame e comprare il nuovo iPhone, sceglieremo il secondo, ma ci diremo che così l' economia riparte, si muove grazie a noi.
Dopo mezzanotte, dopo aver dato bacini sulle guance a tutti, anche a persone mai viste, manderemo messaggini col punto esclamativo, faremo qualche telefonata a familiari e amici e amori lontani, commossi, come se davvero da domani ricominciasse il mondo da capo. E al risveglio, il primo gennaio del 2018, ci prepareremo con spirito diverso alla nuova vita, come primo atto sostituiremo la lampadina fulminata nel ripostiglio, che non funzionava da sei anni (e chissà qual è stato allora il primo atto dei cinque anni precedenti).
Insomma, ci mettiamo ogni anno molte delle nostre energie, in questa attesa della mezzanotte, ci vestiamo bene, mettiamo indumenti intimi di colore rosso perché non si sa se davvero sono dei portafortuna, però non si sa mai.
Ci diamo da fare, compriamo cibo e bevande, ci organizziamo con gli amici, i figli si perdono per le strade di una città sconosciuta e vengono raggiunti solo dopo due giorni al telefono perché hanno passato 48 ore a vomitare ubriachi (loro devono ancora imparare che ci si può anche non sfrenare e la vita funziona lo stesso; che nessuno ci dirà, quando moriremo: però a Capodanno qualche volta non ti sei divertito).
Ma concediamo tutto, perché ci sembra che tutto questo, pur non avendo nessun senso, ha un senso, perché glielo diamo noi, e non è poco. E però poi arriva sempre il rompiscatole che a mezzanotte e dieci circa dice con sentimento sincero (oltretutto): per me il vero inizio anno è a settembre, perché è a settembre che davvero si ricomincia. E mina definitivamente tutti gli sforzi che abbiamo fatto.