QUA E LÀ C’È LA SERENITÀ, MA NON A NOTTINGHAM – CONFESSANO LE DUE BULLE A PROCESSO PER L’OMICIDIO DELLA 18ENNE ITALO-EGIZIANA MARIAM MOUSTAFA, MORTA A MARZO DOPO SETTIMANE DI AGONIA – È STATA PESTATA A SANGUE SU UN BUS DA DUE RAGAZZE, DI 15 E 17 ANNI, CHE SI SONO DICHIARATE COLPEVOLI: “SIAMO STATE NOI” – SI INDAGA ANCHE SUL COMPORTAMENTO DEI MEDICI, CHE L’HANNO DIMESSA NONOSTANTE…

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Mirko Polisano per “il Messaggero”

 

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Crolla l' omertà del branco tra le bulle a processo per l' uccisione di Mariam Moustafa, la 18enne italo-egiziana, cresciuta a Ostia e trasferitasi poi con la famiglia a Nottingham, morta il 14 marzo scorso in Inghilterra, dopo settimane di agonia a causa delle conseguenze della brutale aggressione a pugni e calci da parte di una gang di sole ragazze.

 

Mariam è stata pestata a sangue mentre era su un bus di ritorno dal centro commerciale Victoria Center in Parliament Street. «Si, siamo state noi», avrebbero ammesso davanti alla Corte di Nottingham nel corso della prima udienza del processo che si è svolta giovedì mattina. Alla sbarra, dinanzi a un giudice della Nottingham Magistrates Court, le sei imputate: cinque minorenni la cui identità resta riservata, per la tutela di legge, e la 19enne Mariah Fraser.

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LE STRATEGIE

Le baby bulle non sono apparse più così coese e solidali come prima. Le versioni sono cambiate e il gruppo si è sfaldato adottando strategie difensive diverse. Due di loro, di 15 e 17 anni, si sono dichiarate colpevoli: «È anche colpa nostra», avrebbero detto alla Giuria, sperando di guadagnarsi qualche attenuante e andranno incontro al verdetto del giudice Tim Spruce per la definizione della pena tra un mese.

 

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Una seconda 15enne si è invece proclamata innocente, anche a rischio di una sentenza più severa laddove non fosse creduta. Mentre la Fraser, una terza 15enne e un' altra 17enne hanno preso tempo, chiedendo un rinvio.

 

Saranno convocate in seconda battuta per il 25 ottobre quando dovranno obbligatoriamente rispondere alla domanda se si considerano colpevoli o innocenti. Mohamed Moustafa, padre di Mariam, dopo aver presenziato alla prima udienza ha fatto sapere ai giornalisti che ci sarà a ogni fase del dibattimento, fino alla sentenza: «Farò del mio meglio per avere giustizia per mia figlia - ha detto con la voce rotta dalla sofferenza - Mariam non ha mai fatto del male a nessuno e non meritava tutto questo male. Voglio andare fino in fondo anche se mia figlia non me la ridarà indietro più nessuno».

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LE INDAGINI

Ma c' è un altro filone di indagine che resta aperto. Se da un lato, c' è da chiarire la dinamica dell' agguato - su cui anche la Procura di Roma aveva aperto un fascicolo d' inchiesta con l' accusa di omicidio aggravato dall' odio razziale; dall' altro c' è da appurare il comportamento dei sanitari inglesi che hanno dimesso Mariam Moustafa mentre per lei era in corso un' emorragia cerebrale e sebbene la ragazza continuasse a dire di sentirsi poco bene e di essere affetta da problemi cardiaci.

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Al vaglio degli inquirenti che stanno facendo gli accertamenti ci sono le cartelle cliniche della 18enne che sono già state acquisite. A tirare in ballo il ruolo dei medici sono stati proprio i familiari della ragazza che hanno lanciato accuse ai servizi ospedalieri e in particolare su una presunta sottovalutazione delle ferite riportate da Mariam nel pestaggio avvenuto nel febbraio scorso.

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