Giancarlo Dotto per Dagospia
Anche un asino parlo perché volle Dio, disse il saggio. Ma quanti ce ne sono di questi maledetti asini in circolazione? Nel giorno in cui il ridicolo del politicamente abietto sfonda il muro del suono con le accuse di “razzismo” allo spot di Zalone, per me solo banalmente spassoso (vedendolo e sganasciandomi su mi chiedevo, ci sarà mica qualche asino che lo troverà razzista? E mi rispondevo: no, non può esserci tanto asino al mondo), diventa giusto tornare sul famigerato “Black Friday”, il titolo più vituperato del decennio, diventato nel frattempo sufficientemente inattuale per considerarlo finalmente attuale.
E prima che i soliti cervelli bovini si mettano al lavoro, ruminando l’inevitabile schizzetto di veleno, anticipo: mi sarà allo stesso modo facile dargli addosso al Zazza, nel caso contrario di dissenso. Nulla di personale, dunque. Il titolo, in questo caso, lo faccio io: “Dove sta lo scandalo ZaZa, madonna mia?”. Triplice Za. Dallo spot di Zalone al titolo di Zazzaroni all’esecrazione di Zaccaria, mi sa che il problema è proprio questo: i ridicoli non hanno il senso del ridicolo. Un problema serio.
Le trombe della demagogia sono sempre lì, pronte a stonare. Voglio dire, qualunque nome porti, qualunque carica, storia o decorazione abbia alle spalle, tu devi seriamente diffidare di te stesso nel momento in cui scambi un comico che “gioca” sulle fantasie, peraltro succubi, del latticino medio, inteso come uomo bianco, a proposito dell’immigrato incombente (immaginarlo peraltro nel letto con la moglie sarebbe, secondo un sondaggio impossibile ma vero, la fantasia prevalente dell’italiano medio, imbolsito e devitalizzato da anni di ménage coniugale), per “istigazione al razzismo”.
BLACK FRIDAY - IL TITOLO DEL CORRIERE DELLO SPORT SU LUKAKU E SMALLING
Se poi a dirlo sono anche quelli che si occupano istituzionalmente di rifugiati, vuol dire solo una cosa, che stai portando l’acqua al tuo mulino, in questo caso nero ma verniciato di bianco. Trovando razzismo dove razzismo non c’è, nemmeno l’ombra, non fai altro che lucidare la tua targhetta di ottone. Tornando al “Black Friday”. Passata una settimana, passata la tempesta di fango, paragonabile alle scariche compulsive di guano che di questi tempi bersagliano le teste dei romani, crivellati tra cielo e terra da uccelli e buche, è arrivato il momento di dire. La miseria dei tempi è la non sussistenza delle cose.
Ti uccidono per equivoco con una raffica a vanvera e il giorno dopo più nulla. Come nulla fosse accaduto. Carnefici e vittime spazzati via dalla scarica successiva. I social sono, in questo senso, nichilismo puro. Oggi sì, a mente fredda e ombrelli aperti, le teste protette dal guano della rete, possiamo dirlo: le accuse di razzismo a quel titolo sono state una gigantesca cazzata planetaria. Un caso unico di contagiosa idiozia, con l’apice inarrivabile dell’interdizione ai giornalisti del “Corriere”.
Ma di questo nemmeno parlo, in certi casi anche le parole si rifiutano di parlare. Partita, come sempre, in epoca virale, con due o tre lasciti dei soliti petomani del politicamente abietto, sempre in assetto di giudizio universale, è diventata in poche ore un boato, una stroncatura per sentito blaterare, una scia grottesca, un abominevole blob, toccando pure la complicità di quei poveracci innocenti di Smalling e Lukaku, oggetti piuttosto, con quel titolo, di un omaggio assoluto.
Cosa spaventa di questa stupidità che per un paio di giorni ha infuriato sul “Black Friday” e ora sul “Black Zalone”? Due cose: la totale assenza di un pensiero e l’ottusità gregaria, l’orda di crani vuoti che si allinea nella catena del passaparola. Le due cose insieme hanno combinato la tempesta perfetta. Terza cosa, la smania di superarsi l’un l’altro nella corsa delle anime belle. E qui, Roma e Milan hanno stravinto. L’ultimo appunto lo devo fare al direttore Zazzaroni. Ha sbagliato di grosso a chiedere scusa ai due soggetti in questione.
Un piccolo cedimento alla furia alias bolla di massa. Non c’era nulla di cui scusarsi. Togli Chris Smalling e Romelu Lukaku, metti Tommie Smith e John Carlos. Metti caso che il giorno in cui i due hanno alzato il pugno guantato di nero sul podio, Città del Messico 1968, fosse stato un venerdì invece che un mercoledì, sarebbe stato perfetto titolare “Black Friday” e nessuno avrebbe fiatato. Lukaku e Smalling non erano gli eroi di una protesta che avrebbe fatto scandalo, ma i due probabili protagonisti di una partita che avrebbe incendiato San Siro.
Due neri, due ex compagni, due suggestioni potenti anche nella chiave fisica oltre che cromatica dello scontro. Evidenziare non vuol dire discriminare, direbbe la maestra al ciuco di turno. Sottolineare la differenza non è razzistico di per sé, lo diventa se è motivo di discriminazione. Il razzismo peggiore è negare la differenza. Quello vero striscia e si nasconde in ognuno di noi, nelle tante forme subliminali di discriminazione, invisibili nelle piccole cose. Parlando di gialli e di neri nel calcio.
Il coreano Son del Tottenham è il calciatore più sottovalutato del pianeta. Se Diawara fosse biondo e aitante, la sua partita a San Siro, gigantesca, sarebbe stata giudicata con un nove, non avremmo letto stitiche sufficienze. La “differenza” è ovunque, grazie al cielo, attorno a noi, che ci attrae, ci cattura, ci stordisce. Che ci ammutolisce o ci fa eloquenti. La differenza titola tutte le nostre giornate. Ci libera dalla noia e dall’apatia. Ci mette in movimento. Che tu sia uomo o donna, nero, bianco, giallo o rosso, differenza non è sofferenza. Il colore stesso della pelle è differenza, una delle tante porte dell’immaginario. Solo nel mondo di Narciso, il più grande razzista della mitologia, la differenza non è desiderio.