Giuseppe Remuzzi per il “Corriere della Sera”
Da mesi ormai si parla dell'efficacia dei vaccini. Per esempio, 95% per Pfizer-BioNTech, altrettanto (o quasi) per Moderna. L'ultimo dato per AstraZeneca (il lavoro sarà presto pubblicato nel Lancet) è 76% di protezione dopo la prima dose e adesso sappiamo anche che questo vaccino riduce la trasmissione della malattia del 67%. Sputnik, il vaccino russo, ha un'efficacia del 92%, Johnson&Johnson del 72% e Sinovac, il vaccino cinese, del 78%, per quello che si sa.
Tutto questo viene dagli studi di fase III, quelli che servono per presentare il dossier alle autorità regolatorie che ne dovranno certificare efficacia e sicurezza. Ma cosa succederà nel mondo reale? Davvero i vaccinati si ammaleranno di meno? E ci saranno meno persone in ospedale e di conseguenza meno morti?
Sono domande semplici, che si fanno tutti, ma a cui finora nessuno sapeva rispondere con certezza. Da ieri però c'è qualcosa di più: sono i primi dati che arrivano da Israele. Loro sono stati i primi a vaccinare (57 dosi ogni 100 residenti) e ad oggi quasi il 90% delle persone con più di 60 anni ha già ricevuto la prima dose di Pfizer-BioNTech. E allora? Sono davvero diminuite le infezioni?
Sì, certo, per quella fascia d'età le infezioni sono scese del 41% e i ricoveri fra metà gennaio e i primi di febbraio sono diminuiti del 31%. È tanto o è poco? Dipende. Ma una cosa è certa: questa è la dimostrazione che il vaccino funziona non solo nell'ambito degli studi disegnati per ragioni regolatorie - che sono condotti per lo più su volontari adulti e sani ma anche nel mondo reale, su una popolazione per forza eterogenea.
Poi in Israele hanno cominciato a vaccinare persone che avevano meno di 59 anni, qui sono arrivati per adesso al 30% della popolazione e, come ci si poteva aspettare, le infezioni si sono ridotte di molto meno - del 12% ad essere precisi - e i ricoveri sono scesi solo del 5%.
C'è da aggiungere però che dal 7 gennaio Israele ha imposto un lockdown e allora ci si potrebbe chiedere se non sia stato il lockdown, piuttosto che le vaccinazioni, ad aver ridotto la circolazione del virus e il numero di pazienti ricoverati. Questo non lo possiamo escludere, ma è improbabile se consideriamo la differenza nel numero di infezioni e nei ricoverati i fra gli anziani vaccinati (quasi tutti) e i più giovani, dei quali solo 3 su 10 hanno potuto avere il vaccino fino a questo momento.
Fra l'altro i dati di Israele - comunicati dal Ministero della Sanità e commentati recentemente in un bellissimo lavoro di Nature - fanno vedere che le città che hanno avuto meno infezioni sono proprio quelle in cui si è vaccinato di più, e questo con il lockdown non c'entra.
I dati che abbiamo a disposizione hanno un limite però: non sappiamo se fossero proprio i vaccinati, e solo quelli, ad evitare l'ospedale. Nonostante ciò, se il vaccino ha un impatto così importante sull'intera popolazione vuol dire che chi si vaccina protegge un po' anche gli altri.
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Ecco un altro aspetto di cui si è molto discusso in questi giorni, la possibilità che chi si vaccina possa comunque contagiare gli altri: dai dati che arrivano da Israele una risposta sicura a questa domanda non c'è ancora. E allora potremmo guardare all'Inghilterra, che ha cominciato a vaccinare molto prima degli altri Paesi dell'Europa: lì il vaccino Pfizer-BioNTech ha fatto calare del 53% il numero di operatori sanitari positivi a SARS-CoV-2 (rispetto a chi non era stato vaccinato) e questo già 12 giorni dopo la prima dose.
Si tratta di dati non ancora pubblicati, ma che sono stati presentati da Tim Spector del King' s College di Londra in una conferenza del 3 febbraio. Nemmeno dall'Inghilterra però ci arriva una risposta sicura sul fatto che chi è stato vaccinato non possa contagiare gli altri, meglio quindi continuare a portare la mascherina.
Intanto il governo del Regno Unito ha stanziato sette milioni di sterline per finanziare una serie di studi clinici centrati sui vaccini Pfizer-BioNTech e Oxford-AstraZeneca per rispondere a molte delle domande che tanti di noi si sono fatti in questi giorni: due dosi a 21 o 28 giorni l'una dall'altra oppure a 12 o 14 settimane l'una dall'altra? E ancora: si può fare la prima dose con Pfizer e la seconda con AstraZeneca o viceversa?
E poi, è vero che la risposta del sistema immune alla prima dose - come sostiene Stanley Plotkin, uno dei più grandi vaccinologi del mondo - dura almeno sei mesi? Ancora un po' di pazienza e presto avremo una risposta a tutte queste domande, grazie anche alle 800 persone che hanno già accettato di prendere parte a questi studi e a cui va, ancora prima di sapere i risultati, la nostra gratitudine.
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