Carlo Freccero per Dagospia
Per due anni l’Italia è stata inerte, mentre il mondo si ribellava. Eravamo in preda ad un’ipnosi collettiva che ci paralizzava. Il green pass ha prodotto il miracolo. Improvvisamente arrivano segni di risveglio: le piazze piene, l’astensionismo, la rinascita delle lotte dei lavoratori.
In questo contesto spicca l’appello dei portuali di Trieste che non prendono neppure in considerazione il tipo di trattativa condotto da governo e sindacati, su temi di contabilità spicciola, col solito sistema della carota e del bastone: abbassare il prezzo dei tamponi o penalizzare i lavoratori sospesi per mancanza di green pass, con la mancanza di scatti di anzianità. Una trattativa squallida perché tutta giocata sugli interessi personali, così come il neoliberismo ci ha insegnato a funzionare.
Rispetto a tutto questo, la dichiarazione dei portuali di Trieste ci giunge da un’altezza stratosferica. I portuali hanno rifiutato i tamponi gratis. Tra l’altro solo per loro. Ci insegnano che la resistenza non nasce da interessi individuali, ma da un problema di principio che, in questo caso, ha per oggetto il green pass nel suo significato discriminatorio.
La discriminazione non si combatte arroccandosi su posizioni corporative. Mentre il governo porta avanti la consueta strategia del “divide ed impera”, i portuali scrivono “siamo venuti a conoscenza che il governo sta tentando di trovare un accordo, una sorta di accomodamento, riguardante i portuali di Trieste”… “Noi come portuali ribadiamo con forza e vogliamo che sia chiaro il messaggio che nulla di tutto ciò farà sì che noi scendiamo a patti fino a quando non sarà tolto l’obbligo del green pass per lavorare, NON SOLO PER I LAVORATORI DEL PORTO MA PER TUTTE LE CATEGORIE DEI LAVORATORI”
Per chi, come me, ha vissuto le lotte dei lavoratori negli anni 70, è un discorso commovente, perché riporta in vita il concetto di lotta di classe. Buffet ha dichiarato: “la lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi”. Orgogliose di questa vittoria le élites si sono divertite in questi anni a fare a pezzi, attraverso falsi obiettivi ed un condizionamento martellante, il valore della solidarietà sociale.
Di fronte agli influencer coi tacchi, la superiorità morale dei portuali di Trieste, si impone e genera rispetto ad ammirazione. Eppure gli influencer coi tacchi sono oggi l’espressione di una certa sinistra che ha dimenticato i lavoratori.
Come ligure conosco i portuali di Genova. In questi anni il porto è stata la riserva indiana della solidarietà e dell’integrità morale. I portuali hanno conservato una consapevolezza che li spinge a capire il momento storico e a fare del loro lavoro un continuo esercizio etico. Autonomamente i portuali sono intervenuti a bloccare le distorsioni del neoliberismo. Si sono rifiutati di aiutare il transito delle navi cariche di armi, destinate alla guerra infinita dell’occidente contro il resto del mondo.
Qualcuno ha scritto: “Un portuale con la terza media vale più di 20 costituzionalisti”. Nel Neoliberismo l’istruzione stessa è diventata veicolo di condizionamento. Il significato dell’insegnamento è stato distorto da dispositivo di formazione del cittadino a strumento di avviamento al lavoro finalizzato al guadagno personale.
Oggi, come per incanto, questo maligno incantesimo che ci relegava al ruolo di “animali economici” sembrava andare in frantumi per restituirci al nostro ruolo di “animali sociali”
I portuali di Trieste riportano in vita una parola che era cancellata dal nostro vocabolario: solidarietà.