Carlotta Rocci per repubblica.it
Moussa Qattara, dalla scorsa settimana, ha lasciato la bicicletta appoggiata al muro della casa dove abita a Sant’Ambrogio. "Non so se la userò ancora per andare a scuola ad Avigliana", dice il ragazzo che ha 19 anni ed è in Val di Susa da due mesi, nell’ambito del progetto accoglienza diffusa.
È diventato a sua insaputa il coprotagonista di un video diventato virale sul web che è costato al poliziotto che l’ha girato — condito con un commento offensivo nei confronti del richiedente asilo e della presidente della Camera Laura Boldrini — la sospensione dal servizio e l’avvio di un procedimento disciplinare. "Ho scoperto da poco che mi avevano filmato mentre pedalavo, non credo potessero farlo e mi dispiace", commenta. Parla solo francese perché l’italiano lo sta studiando otto ore al giorno tre volte alla settimana e per comprendere l’audio del video ha bisogno di una traduzione.
"Davvero mi ha chiamato negro? Questo mi fa arrabbiare perché è un po’ razzista — replica — Ma in fondo non credo di potermela prendere più di tanto perché quegli agenti mi hanno salvato la vita e sono stati molto gentili con me. Non posso chiamare razzista un poliziotto che mi salva la vita".
La bicicletta, però, almeno per ora resta contro il muro: "Mi sono confuso con i colori della segnaletica, non sapevo che quella verde fosse per l’autostrada. Ho seguito Avigliana e sono finito in autostrada, ma non è un’esperienza che voglio ripetere". Moussa si è ritrovato in tangenziale in sella ad una vecchia graziella senza luci: «Ho avuto davvero paura quando ho capito che avrebbero potuto investirmi. La polizia mi ha affiancato, mi ha spiegato che non potevo pedalare lì e poi mi ha scortato fino a quando non siamo usciti dall’autostrada». Martedì scorso Moussa ha incontrato anche i poliziotti della stradale di Susa: "Li ho ringraziati".
Ora il dipartimento di polizia ha quaranta giorni di tempo prendere una decisione sul comportamento del capo pattuglia. Il video è stato consegnato in procura, «ma al momento non ci risultano iniziative della procura», dice l’avvocato Pierfranco Bertolino che lo assiste. Moussa era partito da solo dalla Costa d’Avorio dove è rimasta tutta la sua famiglia compresa la sorella maggiore. Ha attraversato il Mediterraneo su un barcone fino a Lampedusa.
Parla malvolentieri di quel viaggio e anche dei motivi che lo hanno spinto a partire: «C’è la guerra a casa mia e mi piange il cuore quando penso al mio paese. C’è voluto coraggio a partire ma ce ne vuole anche a restare. Ho deciso che la mia vita sarà in Italia». Ora condivide l’appartamento all’ultimo piano di un palazzo con alcuni ragazzi di Gambia, Mali e Costa D’Avorio. "Forse da grande voglio fare il meccanico, ma per ora preferisco studiare".