Roberta Polese per il “Corriere della Sera”
Ieri mattina, nell'Altopiano c'erano nuvole dense. Renato Fornaciari era un pilota esperto, si era alzato in volo con l'operatore di ripresa bresciano Marco Vignoni, insieme dovevano sorvolare le montagne per conto della Jolefilm, una casa di produzione veneta che sta girando un film sulla Grande Guerra. Il soldato protagonista doveva alzare lo sguardo al cielo e veder passare quel biplano storico, un Tiger Moth giallo.
«Il tempo non va bene, lo vedi anche tu - ha detto Renato a Marco, che si trovava seduto davanti a lui mentre erano in volo sul biposto - rientriamo». Sono state le sue ultime parole. L'aereo ha toccato terra e il pilota è morto. Il velivolo che guidava è arrivato in pista ed è finito sull'erba dell'aeroporto Romeo Sartori di Asiago, incolume l'operatore di ripresa che era con lui, che è rimasto sotto shock.
Fornaciari aveva 74 anni, era di Parma ma abitava a Rovereto. Sconvolta l'intera troupe che dal 2 maggio si trova ad Asiago per girare il film L'isola che non c'è. La vera storia del soldato Peter Pan , prodotto dalla società che vede tra i suoi soci anche Marco Paolini. I registi sono il milanese Gian Filippo Pedote e Giliano Carli di Asiago. Ieri sul set è giunto anche Francesco Bonsembiante, socio di Paolini. «Siamo affranti - dice - abbiamo fermato le riprese per un giorno, non si poteva lavorare con questo stato d'animo».
IL Tiger Moth DOVE VIAGGIAVANO RENATO FORNACIARI E MARCO VIGNONI
Renato, architetto, era un aviatore esperto, quell'aereo storico per lui era come un figlio: non sono molti i biplani Tiger Moth in Italia e sono ancora meno quelli in grado di guidarli. Renato era abilitato ai voli di montagna, in passato aveva fatto anche il pilota per voli umanitari tra Italia, Bulgaria e Romania. Che cosa sia accaduto ieri mattina nessuno riesce a capirlo.
«Se sono vivo lo devo a lui - spiega l'operatore di macchina Vignoni - ha salvato me, l'aereo e chissà quante persone, non so che cosa sarebbe successo se quell'infarto lo avesse colto qualche minuto prima». La cronaca della giornata inizia alle 8.30: «Renato è arrivato da Trento all'aeroporto di Asiago e alle 9 siamo partiti», racconta il sopravvissuto.
Quelle nuvole basse però erano un problema, non si vedeva niente. «Ero collegato con l'interfono a Renato che a un certo punto mi ha detto che dovevamo tornare, la visibilità non era buona, l'aereo era sicuro, ma le immagini sarebbero state inutilizzabili», racconta. Al rientro in aeroporto tutti erano con il naso all'insù.
Quel biplano sui cieli delle montagne teatro della Grande Guerra era pura magia, uno spettacolo. «Renato ha fatto una virata da brividi prima di rientrare - aggiunge Vignoni - una manovra da manuale, dunque credo che in quel momento fosse ancora lucido».
Eppure quando il biplano tocca terra qualcosa non va, perché Renato percorre tutta la pista e poi esce, si ferma nell'erba dell'aeroporto, Vignoni non capisce perché. «Mi era sembrato strano, ma l'atterraggio era andato bene, dall'interfono non si sentiva niente per via del rumore - spiega l'operatore - mi sono girato e l'ho visto accasciato sui comandi, dall'hangar si sono accorti che qualcosa non andava e sono corsi da noi, ho provato a fargli un massaggio cardiaco ma invano».
I vigili del fuoco e il 118 hanno provato per un'ora a rianimarlo, senza riuscirci. «Se ne è andato da professionista - conclude Vignoni -, ha fatto il suo lavoro fino alla fine salvando me e l'aereo, e poi se n'è andato, gli devo la vita».