UNA REPUBBLICA SFONDATA SUL LAVORO - IN ITALIA TREMILA PERSONE SONO SENZA PIÙ UN POSTO DI LAVORO PERCHÉ LA LORO AZIENDA, CHE FA PURE UTILI, SPOSTA LA PRODUZIONE ALL’ESTERO PER RISPARMIARE - LA CORSA ALLE DELOCALIZZAZIONI NON SI FERMA: L’ULTIMA IN ORDINE DI TEMPO LA CHIUSURA DELLA “SAGA COFFEE” DI BOLOGNA, CHE TRASLOCA IN ROMANIA E LASCIA DIETRO DI SÉ 220 LICENZIAMENTI - NON CI SONO CRISI AZIENDALI: SOLO LA LOGICA DEL PROFITTO SELVAGGIO SENZA ALCUNA RESPONSABILITA’ SOCIALE

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Gabriele De Stefani per “la Stampa”

 

andrea orlando foto di bacco(7) andrea orlando foto di bacco(7)

Tremila persone senza più un posto di lavoro perché l'azienda guadagna, sì, ma non abbastanza. E allora sposta la fabbrica dove produrre costa meno. La corsa alle delocalizzazioni non rallenta, ultima in ordine di tempo la chiusura della Saga Coffee di Bologna, che porta l'attività tra Bergamo e la Romania lasciando dietro di sé una scia di 220 licenziamenti. A tenere insieme tutti i casi che attraversano l'Italia è che la proprietà è di multinazionali o fondi d'investimento e che non si tratta di crisi aziendali: il mercato c'è, magari in evoluzione per effetto della doppia transizione ecologica e digitale, ma la logica degli investitori guarda altrove.

 

Alessandra Todde Alessandra Todde

Sul tavolo del governo giace un decreto contro le delocalizzazioni, molto duro nella sua prima formulazione del ministro del Lavoro Andrea Orlando e della viceministra allo Sviluppo Economico Alessandra Todde, che volevano sanzioni fino al 5% del fatturato per chi se ne va senza essere in crisi. Dopo il doppio no incassato dal premier Mario Draghi e dal ministro Giancarlo Giorgetti, ora Pd e 5S tenteranno di far rientrare il provvedimento nelle pieghe della Finanziaria.

 

GIANCARLO GIORGETTI GIANCARLO GIORGETTI

Lo spazio politico è ridotto, ma ci proveranno in Aula con la versione soft del decreto: niente più sanzioni (considerate un disincentivo a investire in Italia), ma un obbligo per le imprese di comunicare con almeno tre mesi di anticipo la decisione di andarsene e di impegnarsi per la riconversione delle fabbriche abbandonate e per il ricollocamento di chi resta a casa.

 

L'obiettivo è evitare nuovi licenziamenti via mail, come alla Gkn di Firenze, dove è servito un giudice per dire che così non si fa e bloccare tutto. Ma solo per qualche tempo, perché il fondo americano Melrose non ha cambiato idea: si siederà al tavolo, ma per ribadire che se ne andrà. L'accelerazione «Non eravamo in crisi, ma da un giorno all'altro ci hanno detto che portano tutto in Romania» racconta Antonio Ghirardi, sindacalista alla Tinken, 105 dipendenti per produrre cuscinetti per l'industria nel Bresciano.

 

LAVORATORI DELLA SAGA COFFEE LAVORATORI DELLA SAGA COFFEE

C'è un impegno della multinazionale americana per favorire una riconversione della fabbrica che salvi tutti gli operai se arriverà un nuovo investitore, ma la sostanza non cambia: l'unica concessione concreta è un anno di cassa integrazione. «La pandemia è stata il grande acceleratore di un fenomeno che purtroppo già si intravedeva prima - spiega Silvia Spera, che siede ai tavoli del ministero dello Sviluppo economico per la segreteria della Cgil -. I casi aumentano perché ci sono trasformazioni epocali che interessano interi settori, come l'automotive alle prese con l'elettrificazione».

 

gli operai della gkn di firenze 7 gli operai della gkn di firenze 7

Pesante il conto anche per elettrodomestici e bianco, altre vittime della grande crisi pandemica: via la Riello da Pescara, la Elica da Ancona, la Saga Coffee da Bologna. «Nella maggior parte dei casi non sono neanche delocalizzazioni in senso stretto - aggiunge Michele De Palma, segretario della Fiom Cgil -. Non vengono aperti nuovi impianti all'estero: fondi e multinazionali sostanzialmente non fanno altro che riorganizzare l'attività, spostando le linee produttive in fabbriche già esistenti per fare più profitti o spacchettare e rivendere. Il tema della responsabilità sociale delle imprese semplicemente non è preso in considerazione. E' il Far West».

 

Gli investimenti che servono Se il decreto anti-delocalizzazioni non decolla, una pezza ha provato a metterla lo Sviluppo economico con il fondo salva-imprese, voluto dalla stessa Todde, che ha individuato un salvagente che sa d'antico: l'ingresso dello Stato nel capitale di aziende destinate a sparire o, in alcuni casi come il fashion di Corneliani, a emigrare all'estero. Il braccio operativo è Invitalia, impegnata in sette progetti che, dice il Mise, valgono 2 mila posti di lavoro.

gli operai della gkn di firenze 5 gli operai della gkn di firenze 5

 

«Ma la vera tutela dei lavoratori, davanti alle grandi trasformazioni produttive in atto, si fa investendo su formazione e capitale umano - osserva Francesco Seghezzi, presidente di Fondazione Adapt -. Ben vengano norme più severe per non farci prendere in giro dai grandi investitori, ma la vera necessità è attirarli qui e creare le condizioni perché non se ne vadano, non punirli».

 

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