Gianluca Di Feo per “la Repubblica”
La dolce vita delle spie, dove muoversi senza bisogno di stare nell’ombra, sentendosi in qualche modo a casa. Quando è caduto il Muro, è tramontato il mito di Vienna: il porto franco delle trame sospeso tra i due blocchi, città di misteri consacrata da quel “Terzo Uomo” scritto non a caso dal maestro delle spy story Graham Greene. Ma subito il Grande Gioco dell’intelligence ha trovato un nuovo approdo, molto più confortevole: Roma, la più levantina delle capitali occidentali, scenario nell’ultimo trentennio di arcani internazionali rimasti quasi sempre sotto silenzio.
Senza più l’Unione Sovietica, i russi non apparivano più come nemici bensì partner nella lotta al terrorismo. E nella lunga stagione di Silvio Berlusconi a Palazzo Chigi, Vladimir Putin è diventato l’amico più caro tra dacie, lettoni e transazioni economiche mai decifrate. Un’apertura che il fondatore di Forza Italia ha sempre presentato come perno di una mediazione verso gli Stati Uniti, sognando di incentivare la pace mondiale.
Dopo di lui, però, è arrivata l’ondata del populismo con la scalata al potere di Lega e Cinque Stelle prima maniera, facendo dell’Italia una terra di conquista: il ventre molle della Nato, con un ministro degli Interni che lodava il Cremlino e tifava per l’annessione della Crimea, dove lavorare per scalzare il pilastro meridionale dell’Alleanza atlantica.
Beppe Grillo con l ambasciatore cinese Li Junhua
Tutte le strade portano a Roma, inclusa la via della Seta. Con un’esplicita influenza di Pechino per legarci commercialmente all’impero economico d’Oriente. Come dimenticare le visite di Beppe Grillo all’ambasciata cinese e la campagna per adottare la rete 5G Made in China? Si è arrivati persino alla collaborazione spaziale lanciata agli esordi del governo Conte, progettando insieme satelliti e stazioni orbitanti dove mandare AstroSamantha Cristoforetti.
L’assedio del Dragone alle aziende con tecnologie pregiate è stato asfissiante. Contrastato dal più sensibile dei nostri reparti d’intelligence, quell’unità anti-proliferazione dell’Aise che veglia sui mercanti di strumentazioni a doppio uso: in apparenza civile ma molto spesso militare. Una sfida riservatissima, giocata su diversi fronti fino agli ultimi giorni del governo Conte.
Nasce sulla scacchiera dei segreti industriali uno degli affaire più delicati: la cattura di Aleksandr Korshunov, top manager dell’azienda bellica statale Odk, sorpreso nel settembre 2019 a Capodichino mentre andava a godersi i lussi di Capri. Contro di lui c’era un mandato di cattura statunitense perché Korshunov grazie ad alcuni soci italiani si era appropriato dei disegni di motori americani.
ALFONSO BONAFEDE GIUSEPPE CONTE
A dimostrazione della caratura del personaggio, si mosse Vladimir Putin accusando gli Stati Uniti perché facevano “arrestare cittadini russi in Paesi terzi”, in modo da “complicare le relazioni bilaterali”: un messaggio chiaro al governo di Roma. Quando poi la Corte d’Appello di Napoli si è pronunciata in favore dell’estradizione negli Usa, la magistratura russa ha presentato a sua volta la domanda di processarlo in patria. Tra Mosca e Washington, a chi abbiamo dato ragione? Korshunov è volato a casa, grazie a una decisione del ministero guidato allora da Alfonso Bonafede.
Quasi un replay di quanto accaduto dopo il blitz di Trastevere del 21 maggio 2016. Sergey Nicolaevich Pozdnyakov aveva dato appuntamento al funzionario dell’intelligence portoghese Manuel Frederico Carvalho, promettendo 10 mila euro in cambio di documenti Nato top secret. La polizia è entrata in azione e li ha colti sul fatto. Pozdnyakov però ha rivendicato di avere una copertura diplomatica e dopo due mesi è stato scarcerato dalla magistratura capitolina, con successiva archiviazione delle accuse.
Tutti felici e contenti, tranne gli alleati visibilmente infastiditi per la posizione italiana. Tanto più che nell’ultimo lustro la Penisola è tornata a essere strategica nel confronto tra potenze, con un peso crescente delle uniche installazioni Nato del Mediterraneo. Non a caso, lo scorso agosto è finito in cella un colonnello francese del comando atlantico di Napoli, catturato Oltralpe per avere venduto informazioni classificate agli emissari del Cremlino.
L’irritazione americana ha raggiunto l’acme un anno fa, quando il premier Conte ha accolto l’offerta di Putin e aperto le braccia a una brigata chimica dell’esercito russo per lottare contro il Covid. Non era mai avvenuto che truppe di Mosca sbarcassero in territorio della Nato e la mossa di Palazzo Chigi ha spiazzato i vertici militari e quelli degli apparati di sicurezza.
Perché i volenterosi accorsi per disinfestare gli ospizi lombardi erano anche specialisti dell’intelligence e si sono aggirati per mesi intorno alla base di Ghedi, sede pure di un deposito statunitense di armi atomiche. Sempre marcati a vista dai nostri soldati e dalla nostra intelligence. Che tiene gli occhi bene aperti su chi cerca di confondersi tra la folla di turisti e tra il personale delle 120 ambasciate attive nella capitale, a cui vanno aggiunte le delegazioni accreditate agli uffici Onu della Fao.
Un via-vai di cui hanno approfittato spesso gli agguerriti 007 nord-coreani, usando la Città Eterna come trampolino di lancio per le loro incursioni europee. Missioni non sempre fortunate, perché proprio a Roma il regime di Pyongyang ha subìto lo smacco più clamoroso: la defezione dell’ambasciatore Jo Song-gil, sparito alla fine del 2018 e ricomparso due anni dopo a Seul. Un’operazione da manuale a cui non sono estranei le donne e gli uomini dell’Aise.
Nonostante i luoghi comuni farseschi e la lunga litania di scandali, nel corso degli anni i nostri Servizi hanno sempre saputo farsi rispettare dagli avversari. Lo racconta Fulvio Martini, l’ammiraglio che ha guidato il Sismi nella fase finale della Guerra Fredda, descrivendo un episodio: «Da intercettazioni telefoniche, ci risultò che alcuni agenti del Kgb, parlando del Sismi, ci chiamavano gli “italianucci”. Decisi allora di dare una lezione al capo della “residentura”, cioè il centro romano del Kgb, usando su di lui le stesse tecniche di pressione che loro usavano a Mosca contro gli occidentali. Impiegai per l’operazione più di quindici auto, che non lo lasciarono per un minuto quando lui era fuori dell’ambasciata, stringendolo da vicino. Alla fine gettò la spugna e rientrò a Mosca. Nessuno ci chiamò più gli “italianucci”».
Nel suo “Nome in codice Ulisse”, forse il miglior memoir di una nostra spia, Martini sottolinea una questione chiave rimasta ancora irrisolta: «Il rapporto classe politica-Servizi è un punto dolente della vita pubblica italiana. La classe politica italiana è mentalmente impreparata alla gestione dei Servizi, non li capisce, tende a volte a usarli per scopi per i quali non possono e non devono essere impiegati, ma soprattutto non ha nei confronti dei servizi quella considerazione, quella consapevolezza di non poterne fare a meno che esiste non solo nei Paesi autoritari ma anche nelle piccole e grandi democrazie, soprattutto quelle anglosassoni».
Adesso le cose stanno cambiando. Lo dimostra la delega affidata da Mario Draghi a un esperto come Franco Gabrielli. E le parole pronunciate nel presentare il suo esecutivo: «Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica,nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori». Anche a costo di affrontare un braccio di ferro con il Cremlino.