Anais Ginori per “la Repubblica”
La sveglia è alle sette del mattino. Di solito gli agenti fanno l’appello per controllare che il detenuto sia “vivo e si muova”. Per Salah Abdeslam è superfluo. Nella cella di nove metri quadrati è sorvegliato giorno e notte da due telecamere e tre agenti con lo sguardo fisso sugli schermi al plasma, in una sala attigua. Ogni gesto è scrutato.
L’ex nemico numero uno vive in una sorta di panopticon che avrebbe ispirato Michel Foucault. «È un controllo che gli provoca disagio, oltre a essere totalmente illegale » ha detto ieri l’avvocato Franck Berton dopo la scena muta di Abdeslam davanti ai sei pm che hanno provato a interrogarlo. Secondo il legale, le condizioni di detenzione sarebbero il motivo per cui il suo cliente si è trincerato nel silenzio.
Abdeslam è in isolamento al secondo piano di uno dei bracci di Fleury-Mérogis, la struttura costruita negli anni Sessanta come un gigantesco tridente, cinta da muri alti venti metri, fili spinati elettrici sistemati anche sopra ai cortili per evitare che elicotteri possano posarsi. «Nessuno è mai riuscito a evadere da qui» commenta Arnaud Arame, sindacalista degli agenti penitenziari, in una sala adibita all’accoglienza visitatori. Fleury-Mérogis è il più grande carcere d’Europa: oltre quattromila detenuti, un terzo in più della capacità prevista.
«Abdeslam riposa spesso, legge il Corano e guarda molto la televisione » continua Arame. Nella cella c’è una tv chiusa dentro a una bolla di plexiglass per evitare che possa tentare di spaccarlo e ferirsi. Il carcere offre l’abbonamento a canali satellitari su cui Salah può vedere tutte le notizie, anche quelle che lo riguardano. Ma è più interessato al calcio, segue diversi campionati europei. «Gli è capitato di scherzare con i secondini sulle ultime partite».
Il trattamento carcerario a cui è sottoposto non è insomma tra i più duri, certamente non paragonabile a quello che si applica in Italia ai boss mafiosi con il 41bis. Il decimo uomo del commando degli attentati del 13 novembre, che hanno provocato 130 vittime, può ricevere posta e visite previa autorizzazione dei magistrati.
A sua disposizione ci sono i libri della biblioteca. Può comprare giornali attraverso il suo conto personale. Ha due ore d’aria giornaliere durante le quali scende in cortile, sempre solo, o frequenta una palestra. Non dovrebbe mai essere a contatto con altri detenuti. «C’è comunque una permeabilità» osserva l’agente penitenziario.
Nei piani inferiori ci sono altri carcerati con cui può parlare dalla finestra. E dalla sua cella vede il cortile affollato all’ora del passeggio. Quando è stato trasferito il ventisette marzo l’accoglienza non è stata delle migliori. «Qualcuno lo considera un vigliacco perché non si è fatto esplodere» ammette Arame. «Ma c’è anche chi lo ha applaudito».
Quasi metà dei detenuti di Fleury-Mérogis è musulmano. «Molti si sono convertiti dopo essere entrati» continua l’agente penitenziario. Nel 2005 Amedy Coulibaly arrivò in questa prigione come un delinquente qualsiasi.
macchina che trasporta salah in tribunale
Incontrò Chérif Kouachi e il predicatore Djamel Beghal. All’uscita era un’altra persona, pronto a morire da martire qualche anno dopo. «Allora non c’era ancora l’allarme per il radicalismo in carcere» ricorda l’agente penitenziario. Dopo gli attentati, il governo ha deciso di isolare i detenuti islamici in un’apposita unità: ce ne sono 22 a Fleury-Mérogis che partecipano a programmi di “deradicalizzazione”.
Il detenuto più famoso di Francia ha chiesto di poter fare il ramadan quando inizierà a giugno: avrà un unico pasto, servito dopo le 19. Farid Grine è il capo dei cappellani musulmani di Fleury-Mérogis: nove in tutto, rispetto ai ventotto cattolici. Abdeslam ha chiesto più volte di poter incontrare un imam per pregare. «È un suo diritto » spiega Grine che non vuole rivelare cosa si sono detti. Grine è abituato a parlare con i fanatici. Dopo gli attentati di
Charlie Hebdo molti detenuti sono venuti da lui dicendo: «Hanno vendicato il Profeta». Il cappellano ha allora citato alcuni versi del Corano in cui si dimostra che Maometto aveva subito lo scherno senza reagire. Nelle sue prediche del venerdì, nella sala multiculto, Grine ribadisce spesso che l’Islam è una religione di pace.
Cosa dice a un uomo che ha organizzato una strage in nome di Dio? «Il mio compito è ascoltare. La sua vita, come quelle di tutti, deve essere preservata» risponde l’imam di origine algerina. A dicembre Yassin Salhi, l’uomo che aveva decapitato il suo padrone in una fabbrica vicino Lione, si è suicidato in un braccio di Fleury-Mérogis.
Nel supercarcere la priorità è portare l’unico terrorista sopravvissuto agli attentati del 13 novembre vivo al processo, ammesso che Salah possa tentare di fare in prigione quello che non ha fatto sei mesi fa, quando ha rinunciato a morire da martire.