Paolo Martini per “Pagina 99”
Nelle sfumature della nuova Milano da bere si nota ormai un segno tra il giallo e il rosso: è il colore di un'altra movida, di quelli che preferiscono le bionde, con una decisa tendenza verso l'ambrato e il ramato, per via del successo degli stili di birra ad alta fermentazione.
Un quasi rosso che s'intona anche al segno, per così dire, politico-culturale di questo fenomeno: nei brew-pub, ossia i bar che producono la birra che vendono, è facile vedere il poster di Che Guevara o trovare magari una copia del Manifesto, e un piccolo produttore locale è arrivato persino all'ultimo corteo del 25 aprile, coi carretti nati per i mercatini hipster del sabato.
Già, intorno alle birre artigianali fermenta anche la nuova vita sociale, decisamente più easy e meno sovra-eccitata della movida tradizionale, anche perché il luppolo è un parente stretto, non solo botanico, delle cannabinacee. In certe serate a Milano, quando magari c'è qualche appuntamento di dj-set o di musica dal vivo, all'esterno dei pub s'accalcano piccole folle.
E dalla periferia sud-ovest del Birrificio Lambrate, nello storico quartiere intorno a Città Studi dove è cominciato il rinascimento brassicolo, le birre artigianali hanno man mano conquistato i quartieri centrali e borghesi: tutto è cominciato grazie alla gentilezza delle ragazze dell'Hop, di fronte alla Rotonda della Besana, poi sono arrivati i locali specializzati, come il Lambic di via Friuli per lo stile belga. E oggi le birre di qualità alla spina sono addirittura davanti alle Colonne di San Lorenzo, con Tutti Fritti, dietro alla Bocconi con La birrofila, e persino in certi bar della movida "garibaldina", come il Manhattan.
Tra i birrofili si cita spesso Goethe a proposito dell'idea che un viaggiatore non possa conoscere bene la geografia dei luoghi che visita, se non sa esattamente dove trovare una mescita di buona birra. Questo sano principio ispiratore, non a caso attribuito allo scrittore che ha inventato il concetto di letteratura mondiale, è ormai di più facile applicazione grazie a fenomeni come il birrificio indipendente scozzese Brew Dog, che gestisce pub in mezzo mondo, anche a Firenze, Bologna, Roma e si dice presto a Milano.
Il Brew Dog un caso da manuale ormai anche per il mondo della finanza: due simpatici post-punkettoni che si erano stufati di bere in giro solo birre industriali, si sono chiusi da soli con il loro cane in un capannone affittato in quel di Frasenburgh, un borgo marino del Nord Est famoso per la pesca di crostacei e per gli antichi fari, e nel 2007 hanno prodotto i loro primi mille ettolitri di birra; dopo appena 8 anni di attività, ancora arrabbiati con le banche per i primi finanziamenti a tassi spaventosi, hanno voluto fare il salto nel mondo della globalizzazione grazie al più grande caso di azionariato diffuso (Equity for Punks IV), e dal 2015 sono diventati una realtà da mezzo migliaio di dipendenti, 134mila ettolitri di birra e una cinquantina di bar nel mondo. E adesso stanno ripetendo con successo un'operazione di crow-funding per partire con un singolare progetto alberghiero sempre a tema birra, con il primo beer-hotel negli Stati Uniti, a Colombus, Ohio.
Il turismo a tema, dal Belgio all'Irlanda, funziona anche per spiegare quanto sia significativo il fenomeno. In Italia, per esempio, è facile trovare qualche agenzia inglese specializzata che offra viaggi all'insegna dell'abbinamento per noi inconsueto di vino e birra, soprattutto nell'area del nord-ovest, tra Liguria e Piemonte. E così le prime sedi storiche del Baladin di Teo Musso, storico imprenditore della covata SlowFood-Eataly, hanno raggiunto la stessa dignità di una grande azienda enologica. Nel Sudtirolo italiano da alcuni anni una decina di birrifici artigianali si sono consorziati per offrire un vero e proprio itinerario birrario e gastronomico, soprattutto al turista che proviene dalle nazioni del nord-Europa, tedeschi in primis. Certo, questi birrifici sudtirolesi vantano locali di mescita e ristorazione ampi e a volte davvero particolarmente di richiamo, persino sul piano storico, come l'Hofer nella gola dei Sassoni o il Ca' de' Bezzi di Bolzano, che era la più antica osteria della città.
Cent'anni fa un giovane Franz Kafka annotava sul diario: "La birra a Milano ha odore di birra, ma sa di vino" (vedi Questo è Kafka? di Reiner Stach, Adelphi 2016). Chissà che cosa direbbe oggi che le birre artigianali made in Milano hanno conquistato la Germania. Il Birrificio Lambrate quest'anno ha aperto un pub anche a Berlino e sempre più spesso vengono birrai da tutto il mondo, persino americani e inglesi, per collaborare a fare qualche nuova birra con il pluri-premiato mastro lambratese Fabio Brocca.
Del resto, anche se ottimi birrifici artigianali si trovano ovunque in Italia, è nel cuore del Nord che la concorrenza di altissimo livello non manca da anni: il fondatore del Birrificio Italiano di Como, Agostino Arioli, viene considerato un pioniere e un mastro birrario di grande livello continentale da anni. Poi, ci sono stati casi addirittura d'immediati riconoscimenti internazionali, dal Brewfist di Codogno al Toccalmalto di Fidenza, per stare sugli stili di birra molto amati nei Paesi di lingua inglese, fino al Montegioco sui colli tortonesi, un angolo da grande Belgio birrario in Italia.
Ma ora si sono svegliati pure i colossi multinazionali industriali della birra e hanno lanciato una controffensiva presentando sul mercato nuove linee seducenti, di false birre artigianali, oppure acquistando qualche birrificio artigianale per avere da proporre uno o due spine di qualità nei loro pub, da mettere accanto alle linee più industriali.
Ab Inbev ha cominciato con la Goose Island, e ora si è spinto fino al reatino, con l'acquisizione della Birra del Borgo di Borgorose; Heineken si è presa dalla Lagunitas californiana alla Mort subite francese; Carlsberg, per esempio, ora ha scelto di spingere in tutta Europa anche le bionde della Brooklyn, nel cui capitale sono entrati al 20 per cento i giapponesi della Kirin. La birra artigianale, del resto, è diventata anche un paradigma di nuova imprenditorialità e di un altro capitalismo, come si è detto a partire dal caso Brew Dog. Vedremo presto come finirà la sfida, e se a vincere stavolta sarà l'Internazionale dei birrai artigiani.
I DATI SULLE BIRRE ARTIGIANALI
In Italia il fenomeno della birra artigianale, cominciato dopo il Duemila, è definitivamente esploso negli anni Dieci: oggi, secondo i dati degli appassionati del Mo.bi., sono ormai circa 700 le aziende che si possono definire veri e propri birrifici artigianali e altre trecento sono le cosiddette beer-firm (termine che indica chi produce la propria birra affittando impianti altrui).
Si calcola che il comparto occupi più di 150mila lavoratori. Sono più di 150, invece, i soli brew-pub, ovvero i birrifici che hanno aperto direttamente anche un proprio bar, per non dire di quanti, tantissimi, sono ormai gli home-brewers, ovvero provano a farsi la birra in casa. Tutto il fenomeno ha portato con sé un vasto indotto e intorno alla birra artigianale ha conosciuto un notevole boom il mondo economico e agricolo (c'è persino chi coltiva i campi di luppolo e non si limita a importare l'amaricante).