Gianluca Veneziani per Libero Quotidiano
Vittorio Sgarbi, quali sono i suoi primi ricordi?
«Le prime due immagini sono legate al male. Una è una difesa dal male, perché ricordo di essermi scottato su una cucina e di aver capito di non doverlo fare più. La seconda è una rappresentazione del male, un sogno in cui l' Inferno mi appariva tutto verde».
Esiste la sua Madeleine proustiana?
«La panna. Ogni volta che la mangio, la associo alla panna montata che assaggiavo nella casa del dottor Baia, il medico condotto del mio paese. Era il massimo della voluttà. Così come la patata: mi piaceva mangiarla bollente. E mi riferisco al tubero, ovviamente».
A proposito di voluttà, qual è il suo primo ricordo erotico?
«A 6 anni, mi appartai con la figlia di un panettiere, di 5 anni. Mi chiese di farle vedere il mio uccello. Glielo mostrai, ma suo padre ci scoprì, che lo andò a riferire al mio».
E dei tempi di scuola che ricordi ha?
«In classe mi definivano ucialina, termine dispregiativo perché portavo gli occhiali».
Dovesse associare il ricordo dell' infanzia a un quadro, a quale penserebbe?
«A L' Allegoria della Virtù e del Vizio di Lotto: un bimbo è messo alle strette tra una caraffa col latte versato e una montagna irta alle sue spalle. Il vizio è il latte, la virtù il cielo azzurro che troverà, una volta cresciuto, dopo aver scalato la montagna».
Per chiudere. Che rapporti ha lei con la nostalgia?
« È presbite, perché guarda lontano, e custodisce le cose, garantendoci che non moriranno mai del tutto».