Giuseppe Pollicelli per “Libero Quotidiano”
Gettare un po' di luce su ciò che, per definizione, vi è di più segreto. È questo l' obiettivo di un bellissimo libro fresco di stampa che, attraverso i contributi di vari esperti, indaga con lodevole accuratezza il rapporto esistente fra l' attività dello spionaggio e le principali forme della creatività umana, con uno speciale riguardo per le arti visuali di massa: il cinema, il fumetto e la satira.
I colori dell' intelligence (Ed. Nuova Argos, pp. 300, euro 19, praticamente i servizi segreti civili) ha comunque i propri pregi non esclusivamente fra i contenuti. Si tratta, infatti, di un volume che è gratificante anche solo sfogliare, in ragione delle sue qualità tecniche: la carta di pregio, l' elegante copertina cartonata che mostra su sfondo bianco una vignetta del grande Altan e il ricco apparato iconografico valorizzato da una stampa di prim' ordine.
Il disegnatore Melanton (pseudonimo di Antonio Mele) si occupa del modo in cui il mondo degli agenti segreti è stato trattato (e talora maltrattato) dall' umorismo e dalla satira, ma la parte forse più notevole del suo intervento consiste in un' interessante digressione che svela per la prima volta - a proposito di segreti finalmente divulgati - come Federico Zeri, uno dei massimi storici dell' arte del Novecento, non circoscrivesse il proprio apprezzamento a pittura, scultura e architettura.
Racconta Melanton: “Alla stregua di un agente segreto, avevo a lungo "osservato e pedinato" Federico Zeri prima di conoscerlo personalmente. Fino a che non mi aveva ricevuto nella sua villa-museo a Casali di Mentana, alle porte di Roma, alle 6 in punto del mattino della prima domenica di giugno del 1992.
(…) Nella sua lettura, Zeri difendeva dagli "iniqui pregiudizi" di alcuni studiosi le cosiddette "arti di genere" o "arti minori", citando come esempi la produzione degli ex voto (“che è spesso un' arte di elevato pregio pittorico”) o quella delle nature morte e infine la caricatura, la satira, l' umorismo, quasi sempre liquidati come fatuo “accessorio” mentre sono, di fatto e di diritto, “forme essenziali dell' arte”.
james tont buzzanca intelligence
Di come il cinema, dai suoi albori o quasi, si sia occupato di spie e dintorni si occupa il critico Giancarlo Zappoli. Anche in questo caso gli aneddoti e le notizie rare non mancano. “I primi film a carattere spionistico”, informa Zappoli, “non sono purtroppo più visibili”.
Non esistono, infatti, più tracce di “Was He a German Spy?”, film muto diretto da Hay Plumb nel 1912, in cui un uomo che scatta fotografie viene ritenuto una spia tedesca. Il motivo? Il produttore Cecil M. Hewport, nel 1924 sull' orlo del fallimento, distrusse la pellicola tentando di recuperare il (per lui) prezioso nitrato d' argento.
Sorte non migliore è toccata al film che ebbe al centro la prima spia a pieno titolo e che fu diretto da un grande della cinematografia mondiale, l' americano David Wark Griffith che, nel 1918, realizzò The Great Love. Ambientato durante la Grande Guerra, con protagonisti Lilian Gish e George Fawcett, è andato malauguratamente perduto».
Fra i paragrafi più stuzzicanti dell' excursus di Zappoli vi è quello incentrato sui film di spionaggio parodistici, filone al quale l' Italia ha fornito un contributo sostanzioso.
Sono da ricordare, per esempio, Totò e Peppino divisi a Berlino, diretto nel 1962 da Giorgio Bianchi, ma anche diversi titoli - nati sulla scia del successo di James Bond - interpretati da Franco Franchi e Ciccio Ingrassia: 00-2 agenti segretissimi (1964), 002 Operazione Luna (1965) e Come rubammo la bomba atomica (1966), tutti e tre per la regia di Lucio Fulci, e Due mafiosi contro Goldginger (1966) di Mario Bava.
Nello stesso periodo, Lando Buzzanca veste i panni dell' agente segreto James Tont in due lungometraggi: James Tont operazione U.N.O. (1965) e James Tont operazione D.U.E. (1966), diretti da Bruno Corbucci (il primo in collaborazione con Giovanni Grimaldi). Ma non va dimenticato nemmeno l' esilarante Raimondo Vianello protagonista de Il vostro superagente Flit, film di Mariano Laurenti datato 1967 che fa il verso all' agente Flint impersonato da James Coburn.
cia central intelligence agency
La sezione dedicata alla letteratura, curata da Tadashi Koike, spazia da Dostoevskij a Gor' ki e da Zola a Conrad, opportunamente soffermandosi soprattutto sugli specialisti delle spy stories: Ian Fleming, Graham Greene, John Le Carré, Ken Follett e Frederick Forsyth.
“L' agente segreto - e la spia "buona" - da personaggio ambiguo, tenebroso ed eroico, dopo aver ricevuto dalla letteratura riconoscimenti sempre più franchi», scrive Koike, “raccoglie ultimamente anche i consensi dell' uomo di strada”. (…)
Il fattore umano dell' intelligence è tornato a primeggiare - ancorché accompagnato dall' espansione tecnologica - e la penna dei buoni romanzieri non mancherà di sottolinearlo, anche senza ricorrere alle moderne tecniche dello storytelling. Virtù ulteriore di questo capitolo è di essere interamente corredato da magnifiche illustrazioni di Ferenc Pinter, indimenticabile autore delle copertine di tanti gialli di George Simenon e Agatha Christie.
Quanto alla parte dedicata al fumetto, non ci dilungheremo troppo su di essa perché è stata redatta da chi scrive. Ci limitiamo a riportare una notizia che neppure noi conoscevamo e con la quale l' editore ha scelto di concludere il libro: Sergio Tofano (1886-1973), celebre ideatore - con il nome d' arte di Sto - del Signor Bonaventura, si occupò di censura militare per i Servizi segreti italiani durante la Prima Guerra Mondiale.
Il di lui figlio, Gilberto, racconta che fu proprio con l' inseparabile matita rossa e blu con cui prendeva nota di fatti potenzialmente interessanti che una mattina del 1917, mentre era seduto al tavolo di un bar di Via Nazionale a Roma, tracciò il primo schizzo di quello che sarebbe divenuto il personaggio simbolo del Corriere dei Piccoli.