Daniele Sparisci e Flavio Vannetti per il “Corriere della sera”
In questa Formula 1 tutto è sotto investigazione, anche il televoto. L' elezione di Robert Kubica, ultimo a tre giri dal vincitore Max Verstappen, a «driver of day» del Gp d' Austria ha fatto scattare un' indagine interna. La Fom parla di «disguido tecnico», altri di uno scherzo architettato in Inghilterra con il tam-tam online fra i tifosi.
Qualunque sia la verità in Ferrari non ridono. Bruciano l' ennesima beffa subìta al Red Bull Ring con Charles Leclerc e la casella zero vittorie in una stagione che ricorda tristemente quella del 2016, nonostante la macchina di adesso sia molto più forte. Tre pole e altrettante occasioni sfumate.
Una per un guasto (in Bahrein) e due a tavolino, su decisione dei giudici. Michael Masi, il direttore di corsa, ha difeso la scelta degli steward di non punire Verstappen e ha rifiutato di paragonare l' episodio a quello del Canada (Hamilton-Vettel) e alla penalità di Ricciardo in Francia.
«Casi diversi, qui era una manovra di sorpasso ed è stata solo dura e buona competizione». Già, e allora perché a Montreal non lo era? E perché non ricordarlo al presidente della Fia Jean Todt, che ieri ha voluto celebrare con un tweet il «memorabile» duello di Digione fra Arnoux e Villeneuve(cadevano i 40 anni)?
La Ferrari, oltre alle battute d' arresto in pista, conta quelle politiche che fanno anche più male. Il ricorso presentato dopo il Quebec per restituire il successo a Sebastian: nelle «prove schiaccianti» raccolte dal ds Laurent Mekies, ex numero due della Federazione, c' era pure il video-commento dell' ex pilota indiano Karun Chandhok, un particolare che ha fatto sorridere tanti.
La questione è stata liquidata in fretta, e anche sul fronte gomme la proposta di tornare alle specifiche di battistrada 2018 si è arenata davanti alla colazione del no messa in piedi dalla Mercedes. Toto Wolff è abile e spregiudicato nelle stanze del potere, non è un normale team principal: detiene il 30% delle quote del team e a ogni Mondiale vinto riceve bonus milionari. La sua influenza spazia ovunque, dalle questioni tecniche al mercato piloti (pare si stia muovendo per il dopo Hamilton puntando su Verstappen).
A Maranello si sente la mancanza del carisma di Sergio Marchionne: l' ex top manager di Fca, fra progetti di fusione e piani industriali, trovava anche il tempo di partecipare ai vertici strategici della F1. Ribaltando i tavoli quando non gli andavano giù certe cose. Adesso molto, probabilmente troppo, è sulle spalle di Mattia Binotto.
«Non è nel nostro stile - ha detto - battere i pugni sul tavolo» commentando il verdetto «sbagliato» dell' Austria. L' ingegnere di Losanna è in prima linea nella battaglia sui regolamenti 2021, rivendica come un successo l' aver fatto slittare l' approvazione a ottobre: «Dietro le quinte stiamo facendo tanto e bene». Per i dietrologi il trattamento riservato alla Rossa in pista sarebbe il frutto di questa distanza con i padroni della F1. Fantasie? Forse.
Binotto nel frattempo dovrà impegnarsi per proseguire gli sviluppi, utili per questo campionato, ma soprattutto per «validare» le soluzioni della prossima monoposto. In Inghilterra, a Silverstone, dovremmo vedere un pacchetto importante di novità. Ma bisogna migliorare anche nella gestione del box e l' organizzazione, non passa un week end senza piccoli problemi dalle grandi conseguenze. Vettel in garage nelle fasi decisive delle qualifiche con il motore spento, all' origine ci sarebbe un errore umano. E ancora il pit-stop eterno del tedesco (oltre 6 secondi) per un malfunzionamento della radio che lascia impreparati i meccanici.Cose che l' ingiustizia di certe decisioni non cancellano.
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