Giovanna Vitale e Michele Bocci per “la Repubblica”
Anche 50mila al giorno adesso, probabilmente un po' meno quando entreremo in fase 2 e cominceranno le riaperture. E magari anche di più quando sarà finita l' estate. I tamponi resteranno per molti mesi una costante nella battaglia contro il coronavirus. Almeno finché non se ne troverà uno sierologico sul sangue altrettanto affidabile, saranno questi test la chiave per individuare le persone malate e cercare, e mettere in quarantena, i loro contatti, anche attraverso una app. Nel mondo la domanda di questi esami, con il diffondersi della pandemia, è diventata enorme e le Regioni faticano non poco a reperire i kit. Per fare i tamponi è necessario materiale diverso, intanto i bastoncini, tipo cotton fioc, con i quali si fa il prelievo.
Poi ci vogliono delle sostanze che disattivano il virus, per mettere in sicurezza gli operatori, e altre che lo estraggono, oltre infine ai reagenti per il laboratorio. Spesso alcuni di questi elementi vengono a mancare e le amministrazioni locali si arrangiano a cercare fornitori un po' in tutto il mondo. Anche per questo il commissario straordinario Domenico Arcuri ha annunciato di aver acquistato 2 milioni e mezzo di tamponi. Basteranno?
tamponi on the road coronavirus
Quando la curva del contagio sarà scesa, resteranno comunque molti casi da analizzare e cioè tutte le persone che hanno sintomi respiratori e febbre. Se anche fossero 500 persone al giorno ci potrebbero essere anche 10 o 20 contatti da analizzare (in certi casi saranno anche di più) per ciascuno di loro. E fanno circa 10mila esami. Poi però vanno aggiunti quelli da ripetere e quelli necessari per decretare la fine della contagiosità e cioè la "negativizzazione" di tutti coloro che erano positivi. Il numero potrebbe quindi raddoppiare. Questo d' estate. Quando tornerà il freddo e insieme a quello altri sintomi para influenzali, ci vorranno ancora più tamponi per distinguere le diverse patologie.
Secondo Walter Ricciardi, membro del Comitato tecnico-scientifico della Protezione civile, la app che sta per essere scelta dal Governo sarà fondamentale perché «potrà sostituire l' indagine epidemiologica fatta manualmente dai dipartimenti di prevenzione». Tutte le volte che si troverà, soprattutto grazie ai medici di famiglia, un caso sospetto con sintomi si farà il tampone.
Di solito a quel punto i tecnici della Asl devono ricostruire con quella persona cosa ha fatto prima di stare male, dove è stata e chi ha incontrato. Si calcola che nei due o tre giorni precedenti ai sintomi ci sia la massima contagiosità dei malati. Non si esclude comunque di risalire anche più indietro nel tempo. «Grazie alla app - dice Ricciardi - potremo avere informazioni precise riguardo ai luoghi frequentati dal malato e alle persone incontrate con estrema precisione. Spesso durante le indagini epidemiologiche i malati si dimenticano qualcosa».
A quel punto la app comunicherà a tutte le persone a rischio la loro condizione e le inviterà a restare a casa. In questo modo si fermano sul nascere eventuali focolai. Ai contatti che dovessero sviluppare i sintomi della malattia verrà fatto il tampone e se sarà positivo ripartirà l' indagine epidemiologica con la app. «In fase 2 la strategia dei tamponi sarà sempre molto estesa ma mirata - spiega sempre Ricciardi -
Verranno analizzate molte persone con pochi sintomi ». L' utilizzo dell' applicazione, insieme a un gran numero di test e al rinforzo dei servizi sanitari territoriali sono del resto alcune delle azioni indicate come necessarie in fase 2 dal ministro alla Salute, Roberto Speranza. E ieri anche la Ue ha detto la sua, sottolineando come le app «possono aiutare a interrompere le catene di contagio in modo più rapido ed efficiente rispetto alle misure generali di contenimento, riducendo il rischio di diffusione massiccia del virus».