Enrico Franceschini per “la Repubblica”
L’attrice Angelina Jolie che si dimette dall’associazione di beneficenza preferita della principessa Diana accusando i dirigenti di pagarsi stipendi troppo alti. La più famosa associazione di beneficenza inglese per l’infanzia chiusa d’autorità dal governo di David Cameron per corruzione, droga e abusi sessuali.
Decine di associazioni di beneficenza musulmane del Regno Unito sospettate di collusione con il terrorismo. E un monito del Parlamento di Westminster a tutto il settore, con il divieto di utilizzare metodi al limite dell’estorsione per ottenere donazioni.
Paradossalmente, nell’estate dei migranti che fuggono da fame e miseria, a Londra è finita sul banco degli imputati la carità. «Molte associazioni di beneficenza sono mostri famelici che mettono al primo posto i propri interessi, non quelli dei bisognosi», afferma David Craig, giornalista del Daily Mail,autore di The great charity scandal (Il grande scandalo della carità), un libro-inchiesta sull’argomento.
Naturalmente né il suo volume, né le reprimende di Downing street, né le interrogazioni parlamentari, mirano a dissuadere dal fare offerte ai poveri. Ma un’attività nata in nome dell’altruismo si è trasformata poco per volta in un business: e come in tutti i business c’è qualcuno che tenta di approfittarne, come sostiene l’indagine del reporter londinese.
In fondo era stato un altro libro a lanciare la beneficenza nel mondo moderno, cominciando dal paese che rappresentava la modernità in quanto era la culla della rivoluzione industriale. «La carità è il mio mestiere», ammonisce gravemente uno spettro, rivolto al vecchio avaro Scrooge, nel Canto di Natale , il romanzo del 1843 di Charles Dickens, reinterpretato in innumerevoli versioni fino ai giorni nostri dal cinema, dal teatro, dalla tivù. Parole profetiche: un mestiere.
Oggi in Inghilterra esistono quasi 200mila associazioni di carità, che raccolgono complessivamente 80 miliardi di sterline (circa 110 miliardi di euro) l’anno. Una cifra formidabile, pari al prodotto interno lordo di una piccola nazione e il doppio di quanto Bill Gates, maggiore benefattore della terra, ha donato dal proprio patrimonio personale. Il problema è che non tutti intendono “il mestiere della carità” come missione nobile, filantropica e disinteressata: c’è chi travisa le parole dello spirito di Dickens. Ultimamente gli esempi abbondano.
Qualche settimana fa la Halo Trust, associazione di beneficenza resa celebre da lady Di, che le aveva fatto da portavoce andando anche lei a ripulire i campi di guerra dalle mine, è stata denunciata dalla Jolie in una disputa sul salario di vari esperti pagati fino a 500 sterline (700 euro) al giorno. L’attrice, ormai quasi più attivista dei diritti umani che diva di Hollywood, ha scoperto che due consulenti hanno ricevuto rispettivamente 25mila e quasi 100mila sterline per meno di due mesi di lavoro; e che la Halo ha speso 270mila sterline per un documentario promozionale mai uscito dai cassetti.
COVER LIBRO CRAIG BENEFICENZA SCANDALI
Quando è venuta a sapere che l’associazione paga abitualmente una parte significativa delle boarding schools , le costose scuole private dove gli studenti risiedono in permanenza, per i figli di alcuni dei suoi dipendenti, ha ritenuto di dover dare le dimissioni. E la faccenda è finita in prima pagina sul Times , tenuto conto che il Trust un tempo favorito dalla principessa Diana riceve non solo donazioni private, ma anche pubbliche, a colpi di milioni di sterline, dal governo britannico, dalle Nazioni Unite e dal Department for International Development.
L’opinione pubblica inglese si era appena riavuta dallo scandalo che ha riempito paginate sui giornali fra luglio e agosto: la chiusura della Kids Company, associazione dedicata all’aiuto dell’infanzia nei quartieri disagiati della capitale e di altre città britanniche, anch’essa oggetto di milioni di sterline di donazioni dallo stato e dai privati. Nel 2014, per citarne una, soltanto la rock band Coldplay le ha versato 10 milioni di sterline.
LADY DIANA HALO TRUST MINE ANTIUOMO
Ebbene è saltato fuori che la fondatrice e direttrice di Kids Company, Camila Batmanghelidjh, un’immigrata iraniana nota per l’abbigliamento stravagante, spendeva 5 mila sterline al mese per affittare una residenza con piscina in cui andava a fare il bagno, distribuiva misteriosamente quasi 800 mila sterline l’anno di donazioni a 25 individui, quasi tutti adulti, e pagava a sua volta le scuole private ai figli del suo staff. Quindi sono circolate voci ancora peggiori: uso e spaccio di droga, molestie sessuali, corruzione.
Lei si è difesa sostenendo che sono gossip senza fondamento, ma la magistratura ha aperto un’inchiesta, la maggior parte del consiglio d’amministrazione ha dato le dimissioni, il primo ministro Cameron — in passato in ottimi rapporti con la direttrice, che gli portava voti fra le minoranze etniche — ha preso le distanze e l’associazione ha chiuso senza che restasse un soldo in cassa, non è ancora chiaro con quali conseguenze legali. «Ho la coscienza pulita», giura la fondatrice, ma intanto ha dovuto ammettere che nella piscina ci nuotavano lei e i suoi collaboratori prediletti, non i bambini poveri a cui era destinata.
Contemporaneamente è esploso il caso delle associazioni di beneficenza musulmane collegate al terrorismo islamico. Come al Fatiha-Global, che prometteva aiuti ai profughi siriani e invece comprava armi per l’Is: il figlio ventenne del suo direttore è stato fotografato in Siria con un kalashnikov in mano in mezzo ai militanti del sedicente Califfato.
La Charity Commission, l’organismo che sovraintende e regola la beneficenza in Gran Bretagna, ne ha congelati i conti bancari e ha iniziato a investigare. Ma non si tratta di un caso isolato: sono almeno venti le “charities” accusate di collusione con la rete del terrore in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Canada, in Germania e altrove. «Se queste accuse verranno confermate, sembra chiaro che i contribuenti britannici hanno inconsapevolmente finanziato, attraverso le donazioni pubbliche, l’Is e altri gruppi terroristici in Siria e in Medio Oriente», commenta Khalid Mahmood, deputato laburista di religione musulmana.
Se a questo si aggiungono le interrogazioni alla camera dei Comuni sui metodi “all’insegna del bullismo” utilizzati da molte associazioni di carità per ottenere fondi dallo stato e dai privati, oggetto di un lungo dibattito in parlamento il mese scorso, ce n’è abbastanza per capire il gesto di un simbolo della beneficenza come la Jolie, che se n’è andata dall’Halo Trust sbattendo la porta e dicendo «non voglio avere più niente a che fare con un simile business».
La carità dovrebbe essere un mestiere, esorta il Canto di Natale : ma un mestiere pulito. Chi usa il denaro destinato ai meno fortunati per il proprio tornaconto personale non è migliore del proverbiale avaro Scrooge, e forse è anche peggiore. Dickens lo farebbe prendere a calci dagli spettri.