S.P. per “La Repubblica”
«Sono contento per il generale Mori», dice l’ex ministro Nicola Mancino. «L’ho conosciuto qualche mese fa nell’altro processo in cui siamo entrambi imputati, in corte d’assise: siamo accomunati dallo stesso teorema, quello della trattativa».
NICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpeg
Che effetti potrebbe avere l’assoluzione di Mori nel processo “trattativa Stato-mafia”?
«Adesso, voglio essere assolto anch’io. E anche presto, voglio un processo veloce, è un mio diritto. Uno dei principali testimoni dell’accusa, Massimo Ciancimino, è stato già smentito in due processi. Se non vale per Mori, non deve valere neanche per me. E lo dico sottovoce, perché ho rispetto dei magistrati della corte di Palermo che mi stanno giudicando».
La procura di Palermo porta come teste d’accusa anche Claudio Martelli per accusarla di falsa testimonianza: l’ex ministro della Giustizia sostiene di averle parlato del dialogo segreto che Mori intratteneva con l’ex sindaco Ciancimino, nell’estate 1992. Possibile che all’epoca non conoscesse Mori?
«È proprio così. Me l’hanno presentato di sfuggita un anno dopo il mio insediamento al Viminale, alla prima commemorazione per la strage di Capaci. 1993. Successivamente, non ho mai lavorato con lui.
E di trattative non ho mai saputo nulla, anche Martelli ha confermato di non saperne nulla. Mi parlò solo, genericamente, di alcune attività del Ros che secondo lui non erano del tutto regolari. Niente di più. Vuole la prova che non ho mai saputo di trattative fra lo Stato e la mafia?»
Mario Mori - il generale imputato per la mancata cattura di Toto Riina
Mi dica.
«Si vadano a risentire le mie telefonate con il compianto dottore D’Ambrosio, il consigliere giuridico del presidente Napolitano. Gli dicevo che a me nessuno aveva detto niente. Né il presidente del Consiglio Scalfaro, né il ministro della Giustizia Conso, né il capo della polizia Parisi. E mentre dicevo quelle cose al telefono non sospettavo certo di essere intercettato. Dunque, le mie erano parole sincere».
Nel processo “trattativa” la procura affronta anche il tema del 41 bis: i pubblici ministeri sostengono che il carcere duro per i mafiosi sarebbe stato alleggerito dall’allora Guardasigilli Conso, nel novembre 1993. Lei lo sapeva che il ministero della Giustizia non avrebbe prorogato 400 decreti di carcere duro?
«Mai saputo niente della genesi di quella decisione. Per me, parlano le dichiarazioni pubbliche, ho portato una montagna di rassegna stampa ai giudici di Palermo. Ho avuto sempre una posizione fermissima sul 41 bis. Nessuno mi può contestare nulla al proposito. Si chieda, eventualmente, ad altri».
Leggendo le carte del processo le è sorto il sospetto che altri potrebbero aver trattato a sua insaputa?
«Questo non lo so. Ma ritengo che sia stato costruito un teorema. Le due sentenze di assoluzione per Mori sono ormai un’evidenza di cui non si può non tenere conto».
Da mesi, ormai, non partecipa più alle udienze del suo processo. Perché?
«Ho una certa età, non mi muovo facilmente. E, poi, prove contro di me non ne sono emerse. Non mi faccia dire altro, ho troppo rispetto per i giudici di Palermo».