Estratto dell’articolo di Anna Zafesova per “la Stampa”
Se il Cremlino pensava che, facendo piovere missili sulle città ucraine a Capodanno, avrebbe dato il colpo di grazia al morale di Kyiv, vuol dire che in due anni di guerra non ha imparato niente né sugli ucraini, né sul loro presidente.
Nessuno è uscito dagli attacchi russi - che dal 29 dicembre a oggi hanno fatto più di 60 vittime, di cui la metà nella capitale - più rinforzato di Volodymyr Zelensky.
Soltanto pochi giorni prima, il presidente ucraino aveva rilasciato una intervista all'Economist – un mese dopo che, intervistato dalla stessa testata, il comandante delle truppe ucraine Valery Zaluzhky aveva dato inizio a una crisi politica a Kyiv, pronunciando la parola "stallo" parlando delle prospettive della guerra – in cui lamentava la «stanchezza della guerra», dell'Occidente, che aveva perso di vista «l'urgenza» di aiutare l'Ucraina, e degli ucraini stessi, che non avvertivano più così acutamente la «minaccia esistenziale» proveniente dalla Russia.
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[…] La guerra riparte in tutta la sua violenza e brutalità, spazzando via la "stanchezza" e i dubbi. Soltanto pochi giorni fa, alla vigilia di Capodanno, molti nei social annunciavano che non avrebbero guardato il messaggio di mezzanotte di Zelensky: una dichiarazione impensabile dodici mesi prima, quando tutti gli ucraini, quelli rimasti in patria e quelli fuggiti dalle bombe, piangevano ascoltando il loro presidente.
L'Ucraina era arrivata alla fine del secondo anno di guerra esausta e depressa come mai prima: allo stallo al fronte e al fallimento della controffensiva estiva si era sommata fatica per un'economia sotto le bombe, la rabbia per la corruzione, il fastidio per i numerosi scandali che avevano coinvolto i politici, tra cui molti esponenti del partito "Servo del popolo" del presidente.
Ma soprattutto, pesava l'assenza di una prospettiva chiara: la controffensiva si era bloccata, gli aiuti di Wasghinton e di Bruxelles erano in bilico, i media internazionali faceva titoli sulla "vittoria di Putin", e la prospettiva imminente di una nuova mobilitazione di mezzo milione di uomini – e forse addirittura delle donne, secondo le voci che giravano nei media di Kyiv – aveva fatto emergere, per la prima volta, nei sondaggi, la voce di quelli che temevano di dover rinunciare a liberare i territori occupati dai russi.
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[…] Non che la leadership di Zelensky fosse mai stata messa in dubbio: l'ultimo sondaggio dell'Istituto internazionale di sociologia di Kyiv lo dava a dicembre al 62%, in calo dall'84% di un anno fa (e dal 96% dell'inizio della guerra), ma in ogni caso una percentuale che collocava il presidente fuori da qualunque concorrenza.
Tranne che per un nome, quello di Zaluzhny appunto, che godeva della fiducia dell'88% degli interrogati, e secondo un sondaggio "segreto", rivelato dal Kyiv Independent, avrebbe perso contro Zelensky con appena due punti di differenza.
Un esercizio puramente ipotetico, visto che le presidenziali sono state rinviate a causa della guerra, e visto che il popolarissimo generale non sembra intenzionato a mollare il fronte.
Inoltre il 59% degli ucraini dichiara di fidarsi sia del presidente che del comandante, in quella che il sociologo Anton Hrushetsky definisce più una «esigenza di unità» che un segno di divisione.
Ma se la rivalità tra Zelensky e Zalushny è stata in buona parte strumentalizzata dagli avversari del presidente, come il suo predecessore filoatlantista Petro Poroshenko, o dal suo ex consigliere sempre più antieuropeista Oleksiy Arestovich, dagli stessi numeri dei sondaggi era evidente uno scontento crescente per la gestione economica e sociale, e dalle indiscrezioni nei media ucraini e internazionali emergeva il ritratto di un Zelensky sempre più in difficoltà a proporre una narrativa vincente.
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[…] Zelensky è stato accusato di sconfinare nel territorio decisionale dei militari, e il tentativo di alcuni consiglieri del presidente di scaricare sull'esercito la colpa di una controffensiva troppo pubblicizzata dalla politica ha contribuito a incrinare le speranze di un'opinione pubblica già in carenza di ottimismo.
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