A.Ros.per la Stampa
La scelta è compiuta, nonostante mille distinguo. Ma rischia di costarle cara. Nel giorno in cui Chiara Appendino rompe gli indugi, cede a un pressing ormai forsennato (Regione, sindaci delle valli, categorie produttive, mondo dello sport, partiti di opposizione) e schiera Torino nel tridente immaginato dal Coni per strappare la candidatura ai Giochi invernali del 2026, un pezzo della sua maggioranza le volta le spalle e minaccia di farlo definitivamente:
«Se pensa di prendere in giro noi e il Consiglio comunale dovrà iniziare a contare i consiglieri e le consigliere che compongono la maggioranza», scrivono a tarda sera quattro esponenti del Movimento 5 Stelle, senza i quali Appendino non ha i numeri per governare Torino.
La sindaca cerca un equilibrio quasi impossibile: la città, che vuole i Giochi, ormai anche a costo di condividerli con altre città; o la sua maggioranza, che già era poco convinta e adesso scalpita all' ipotesi di un' alleanza finora esclusa a tutte le latitudini.
Trascorre la giornata al telefono: parla con Chiamparino, il presidente della Regione, con i sindaci delle valli, ma soprattutto più volte sente il presidente del Coni Giovanni Malagò, il sottosegretario Giancarlo Giorgetti e Simone Valente, sottosegretario Cinquestelle in stretto contatto con Luigi Di Maio.
A Di Maio, attraverso Valente, chiede una sorta di via libera: se questo è l' orientamento del governo, di tutto il governo, mi rimetto a quel che avete deciso. A Giorgetti invece chiede rassicurazioni: non erano queste le premesse, ognuno doveva fare corsa a sé.
Vuole che sia chiaro che la responsabilità ora è del governo, che questa non è più la candidatura di una città, ma dell' Italia e quindi di chi la guida.
Lo scrive nella lettera inviata al presidente del Coni: «Le analisi, le valutazioni, il coordinamento, i dovuti approfondimenti e le conseguenti decisioni ritengo spettino non più alle singole amministrazioni locali ma a tutti gli enti preposti e al governo».
Il suo è un sì a denti stretti.
Strettissimi. Non era la soluzione che voleva. Non crede sia nemmeno quella giusta. Lo scrive. Per lei Torino era la migliore. E soprattutto, «risulta, di fatto, impossibile valutare in poche ore la fattibilità, la sostenibilità, le innumerevoli criticità e ottenere il sostegno da parte di tutto il territorio a una candidatura multipla di cui, allo stato attuale, non si conosce alcun dettaglio». Così facendo, in parte dissociandosi e in parte passando la palla al governo, cerca di mantenersi in sella: fare il bene della città e al tempo stesso rimarcare le distanze da una soluzione che non soddisfa né lei né il Movimento 5 Stelle.
Cerca la sponda del governo e la trova in Giorgetti e Valente, i quali a fine giornata lasciano intendere che la partita non è chiusa, il progetto definitivo del Coni andrà valutato e approvato. È un sì condizionato, lo stesso che trapela dalle parole della capogruppo Cinquestelle a Torino, Valentina Sganga: «Le condizioni di partenza erano molto diverse.
Aspettiamo le valutazioni che il governo farà dopodiché la Città farà le sue per quel che è di propria competenza. La nostra stella polare restano i punti a cui avevamo subordinato la candidatura».
Insomma, un sì che un domani - una volta noti i dettagli dell' Olimpiade delle Alpi - potrebbe trasformarsi in un no.
Dovrebbe essere il lasciapassare per Appendino. Invece non basta. Quattro consiglieri - senza i quali la sindaca non ha più una maggioranza - si sfilano quasi subito: «L' indirizzo espresso dal Consiglio comunale era molto chiaro: no a candidature condivise. Appendino abbia il coraggio di rispettarlo ed esprima l' indisponibilità a una candidatura condivisa, anche se fosse il governo a richiederla, ponendo così fine a questo assurdo teatrino». Una quinta non firma ma è con loro. In caso contrario l' alternativa è chiara: la sindaca dovrà cercarsi una nuova maggioranza.