IL VIRUS DEI "NEGAZIONISTI" - MOLTI PAESI IGNORANO IL COVID-19 E LA “VERITÀ” SU CONTAGI E VITTIME È DIFFICILE DA RINTRACCIARE NEI DATI UFFICIALI - COME IL BRASILE DI JAIR BOLSONARO E GLI ALTRI TRE DEL “CLUB DELLO STRUZZO”, TURKMENISTAN, NICARAGUA E BIELORUSSIA, CHE NEGANO CHE IL VIRUS LI ABBIA COLPITI – NEI REGIMI LA CRISI È UN PRETESTO PER INASPRIRE LA CENSURA, RESTRINGENDO LA LIBERTÀ DI STAMPA, INCARCERANDO GIORNALISTI O…

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QUELLI CHE «IL VIRUS NON ESISTE». O QUASI

Irene Soave per il “Corriere della Sera”

 

coronavirus coronavirus

In guerra, diceva Eschilo, la prima vittima è la verità. E se la metafora bellica per il Covid-19 è inadeguata, non lo è in questo senso: in molti Paesi la «verità» su contagi e vittime reali del virus è difficile da rintracciare nei dati ufficiali. Per povertà di mezzi: non ovunque i tamponi si trovano (come nello Yemen in guerra: un solo caso). Per i numeri che non tornano, come in Cina o in Turchia, ma soprattutto per la scarsa trasparenza di governi e regimi.

 

luiz henrique mandetta jair bolsonaro luiz henrique mandetta jair bolsonaro

Come il Brasile di Jair Bolsonaro e gli altri tre del «club dello struzzo» (la definizione è del politologo Oliver Stuenkel): anche Turkmenistan, Nicaragua e Bielorussia negano semplicemente che il virus li abbia colpiti.

 

Non a caso nel rapporto 2020 di Reporter Senza Frontiere, pubblicato ieri, c' è un' inedita sezione «Coronavirus»: molti leader hanno approfittato dell' emergenza per restringere ancora la libertà di stampa, incarcerando giornalisti che dubitavano delle statistiche (come in Algeria) o varando leggi «anti-fake news» che aumentano il loro controllo sull' informazione.

 

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BIELORUSSIA - IL PAESE DELLE FAVOLE DI BABBO LUKASHENKO

Fabrizio Dragosei per il “Corriere della Sera”

 

Al centro dell' Europa c' è una specie di Paese delle favole, dove tutto va bene, la gente è felice e nessuno muore per coronavirus. O almeno così sostiene il presidente-padrone Aleksandr Lukashenko, in sella dal 1994, quando la Bielorussia tenne la sua prima elezione democratica. Il capo del Paese (tutti lo chiamano «batka», cioè babbo) parla di «coronapsicosi». «Nel nostro Paese non è morta una sola persona per il virus La causa è stata una delle malattie croniche che avevano».

 

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Domenica lui è andato in chiesa in mezzo a centinaia di fedeli e lunedì le scuole hanno riaperto. Pure il campionato di calcio funziona: gli stadi sono aperti al pubblico e 11 Paesi, tra i quali Russia, Ucraina e Israele, trasmettono in tv le uniche partite che si giocano nel Vecchio Continente.

 

Ma stavolta sembra che il suo popolo non creda a «batka», visto che molta gente da settimane pratica un auto lockdown. E perfino le autorità statali diffondono cifre che non sono in linea con quello che dice Lukashenko. Secondo i dati del ministero della Salute, ad aprile c' è stata un' impennata dell' epidemia.

 

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Da poche centinaia di casi si è passati a 6.264, con 51 morti. Altro che un sorso di vodka, un po' di hockey e lavoro in campagna per combattere il Covid, come dice il presidente. Il 60% degli studenti non è tornato in classe. E perfino i tifosi sono guardinghi. Negli 8 stadi dove sabato si è giocata la 5° giornata del campionato c' erano solo 2.383 persone. Il match più frequentato, a Borisov, è stato seguito dal vivo da 652 appassionati.

 

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CINA - CONTAGI E DECESSI, I DUBBI SUI NUMERI

Paolo Salom per il “Corriere della Sera”

 

In Cina il virus esiste eccome. Anche se ultimamente i nuovi contagi sarebbero quasi scomparsi. E, da gennaio almeno, le autorità sanitarie informano con regolarità il mondo sull' evoluzione dell' epidemia: positivi, decessi, guarigioni. Il problema tuttavia è duplice: per prima cosa c' è stato un grave ritardo nella comunicazione sulla presenza, a Wuhan, della nuova epidemia, i cui primi casi sarebbero stati osservati già a dicembre, se non prima. E poi i numeri: la Cina ha denunciato 84 mila casi e meno di 5 mila decessi.

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Considerando la popolazione (un miliardo e 400 milioni) e la densità abitativa di megalopoli come Wuhan (10 milioni di abitanti), resta un mistero capire come sia possibile che la Cina abbia avuto cinque volte meno morti rispetto all' Italia. Pechino è stata oggetto di numerose proteste a livello di cancellerie.

 

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Donald Trump ha criticato il suo «amico» Xi Jinping per la «poca trasparenza» a proposito del virus. E persino la tedesca Angela Merkel, raramente critica della Cina, ha avanzato «dubbi» sulla «sincerità» dei partner orientali. Ma Pechino a tutti ha sempre risposto: «Noi non abbiamo mai nascosto nulla».

 

BRASILE - LA «PICCOLA INFLUENZA» CHE SEMINA IL CAOS

Rocco Cotroneo per il “Corriere della Sera”

 

Jair Bolsonaro ha smesso di chiamare il Covid-19 una gripezinha - dolce parola che significa piccola influenza - ma non di difendere il ritorno alla normalità e di accusare gli altri di propagare panico eccessivo.

 

coronavirus, cadaveri negli ospedali in brasile 1 coronavirus, cadaveri negli ospedali in brasile 1

Ha sostituito il popolare ma troppo loquace ministro della Salute Luiz Henrique Mandetta, allineato alle indicazioni Oms, con Nelson Teich, un altro medico che la pensa allo stesso modo ma non lo dice, appare assai meno in tv e se lo fa ha dietro il ritratto del presidente, con il quale si dice allineato.

 

Risultato, ordine sparso sotto l' Equatore: ogni governatore e sindaco fa quel che gli pare, annuncia aperture e chiusure a giorni alterni, e ancora non è chiaro se la curva ascendente del contagio in Brasile stia andando verso il peggio oppure non è poi così ripida, né se i dati diffusi su contagi e vittime (40.000 e 2.600) siano attendibili o molto sottostimati. Intanto il sistema ospedaliero di due Stati, Amazonas e Ceará, è al collasso con il 100% di letti e respiratori occupati, altri si stanno saturando. Sono le zone più calde del Brasile, sempre per ricordare a Bolsonaro, e a molti altri che lo sostenevano, che il virus non si ferma con le alte temperature.

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TURCHIA - LE MEZZE VERITÀ DEL SULTANO ERDOGAN

Monica Ricci Sargentini per il “Corriere della Sera”

 

«Nessun virus è più forte delle nostre misure». Così il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a inizio aprile cercava di minimizzare i numeri della pandemia e di rassicurare i cittadini sulla capacità del sistema sanitario. Sempre meglio dell' atteggiamento adottato fino a metà marzo quando Ankara negava persino che ci fossero contagi e se qualcuno dava dati diversi da quelli ufficiali veniva ripreso o, peggio ancora, arrestato «per incitamento al panico» come è successo a 410 persone.

 

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Ieri il New York Times ha rivelato che soltanto ad Istanbul tra il 9 marzo e il 12 aprile ci sono state 2.100 morti in più della media dei due anni precedenti, più o meno tanti quanti i decessi dichiarati oggi in tutta la Turchia a causa del Covid-19: i numeri non tornano. Il governo si difende dicendo di aver agito tempestivamente chiudendo a metà marzo tutti i voli internazionali, le scuole, i bar e i caffè e sospendendo le preghiere di massa.

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L' 11 aprile è stato imposto un primo coprifuoco per il fine settimana in 31 regioni su 81. Da domani, vigilia dell' inizio del Ramadan, sarà imposto un lockdown di quattro giorni. Basterà? Il presidente assicura un ritorno alla normalità a giugno nonostante i 90.980 contagi.

 

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Ma l' Associazione dei Medici turchi è scettica: chiede maggiore trasparenza sui dati. E i sindaci di Istanbul e Ankara, entrambi dell' opposizione, invocano maggiori tutele per i loro cittadini. La pandemia, però, sta affondando l' economia e di soldi ce ne sono veramente pochi.

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