VITTIMA DUE VOLTE – I PARENTI DI UNA DELLE DUE RAGAZZINE STUPRATE (E FILMATE DURANTE LE VIOLENZE) DAI “RAMPOLLI” DELLA ‘NDRANGHETA NON VOLEVANO CHE LA POVERETTA DENUNCIASSE I SUOI AGUZZINI (LE DICEVANO: "STA ZITTA, SUICIDATI") - LE INDAGINI SONO PARTITE DA UN BIGLIETTO ANONIMO LASCIATO ALL'INGRESSO DELLA STAZIONE DEI CARABINIERI - IN QUATTRO SONO STATI ARRESTATI, TRA CUI L'EX FIDANZATO DI UNA DELLE VITTIME: TRE SONO IN CARCERE

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Estratto dell’articolo di Valeria D'autilia per “La Stampa”

 

VIOLENZA SESSUALE SU MINORE VIOLENZA SESSUALE SU MINORE

«Devi stare zitta». I suoi fratelli non volevano che denunciasse la violenza subita. E l'hanno minacciata affinché ritrattasse la sua denuncia, istigandola anche al suicidio e provando a farla passare per pazza. Vittima due volte. Di quei «rampolli» della ‘ndrangheta e dei suoi familiari.

 

Sullo sfondo la piana di Gioia Tauro, nella Calabria più profonda, insanguinata da anni di faida tra clan rivali e omicidi recenti. Qui dove il branco aveva preso di mira due minorenni. Le violenze, ripetute per circa un anno, erano state filmate con i cellulari e poi diffuse in chat. Per quei fatti, soltanto il mese scorso, erano stati indagati in 20, alcuni non ancora maggiorenni.

 

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In quattro erano stati arrestati, tra cui l'ex fidanzato di una delle vittime. Tre in carcere, imparentati con i boss, e il figlio di un amministratore locale ai domiciliari. Un biglietto anonimo lasciato all'ingresso della stazione dei carabinieri aveva fatto partire le indagini.

 

Accade tutto nel piccolo comune di Seminara, in provincia di Reggio Calabria. Poco più di 2 mila abitanti. Qui dove la criminalità organizzata ha radici profonde e dove una giovane vittima - che cerca giustizia - viene ostacolata da fratello, sorella e rispettivi compagni. Ora ai domiciliari su decisione del tribunale di Palmi con l'accusa di violenza, minacce e intralcio alla giustizia.

 

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«Perché non ti ammazzi?» le ripetevano più volte, accusandola – con le due dichiarazioni – di aver messo in pericolo la famiglia. Contrari alla scelta di denunciare, nelle carte dell'inchiesta si legge che «hanno costantemente tentato di ostacolarne la collaborazione con gli investigatori, tentando in svariati modi di farle ritrattare quanto già dichiarato davanti all'autorità giudiziaria».

 

Dovevano essere le persone che, più di tutte, avrebbero dovuto darle un supporto in questa storia agghiacciante. Gli affetti più cari, quelli in cui trovare conforto. Invece, anche loro, si sono trasformati in aguzzini. Pressioni quotidiane e intimidazioni affinché facesse un passo indietro. Certe famiglie non si devono sfidare. Ed è per questo che doveva ritirare la denuncia, non parlare con persone estranee e ritrattare quelle dichiarazioni che incastravano i violentatori.

 

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Poi le pressioni a «compiere gesti suicidari» e la scelta di disattivarle la scheda telefonica - che usava per parlare con gli investigatori - fingendo che fosse smarrita. Volevano anche che si sottoponesse a una visita psichiatrica con l'intento di ottenere una certificazione medica che ne attestasse l'incapacità di intendere e volere, rendendo così le sue dichiarazioni inattendibili. Ma lei è andata avanti, supportata dalla madre e da un'altra sorella. […]

 

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