C'ERANO PIÙ PAGINE DI CULTURA SU "PLAYMEN" CHE SU "L'UNITÀ" E "IL MANIFESTO" - DA DE CHIRICO A FELLINI: AL MACRO DI ROMA LA MOSTRA DEDICATA ALLE INTERVISTE DELLO STORICO MENSILE VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI CHE NON PRESENTAVA SOLO SCOOP COME LE IMMAGINI SENZA VELI DI JACQUELINE KENNEDY - HUGH HEFNER, IL VATE DI PLAYBOY, ACCUSÒ ADELINA TATTILO DI PLAGIO, REGALANDO PERÒ NOTORIETÀ MONDIALE A PLAYMEN - GLI SCRITTI DI CRITICI COME MARCELLO VENTUROLI, RESPONSABILE DELLE PAGINE DELL'ARTE, E IL CINEMA ERA NELLE MANI SAPIENTI DI UGO MORETTI - VOGLIAMO PARLARE DI PIER FRANCESCO PINGITORE ED ENRICO DE BOCCARD?

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Gianfranco Ferroni per "Italia Oggi"

 

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C'erano più pagine di cultura su Playmen che su l'Unità e il manifesto. Lo dimostra il Macro del Comune di Roma, il Museo dell'immaginazione preventiva, all'interno del programma ideato dal direttore artistico Luca Lo Pinto che presenta fino al 30 maggio a via Nizza (sì, proprio la strada dove c'è la sede dell'Inpgi) un'esposizione dedicata alle interviste ai protagonisti della pittura, della scultura, del cinema, del teatro e della letteratura apparse nella storica rivista vietata ai minori di 18 anni, pubblicata dall'indimenticata Adelina Tattilo, imprenditrice pugliese che era stata illuminata dalla fantasia editoriale a luci rosse già coltivata dal consorte Saro Balsamo (quello che inventò Le Ore, portando il «sesso stampato» nelle edicole).

 

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Una lunga storia, quella di Playmen, durata dal 1967 al 2001, che l'istituzione museale evoca non per il cosiddetto «filone erotico soft-core», ma per i servizi e le storie, dove i personaggi erano Giorgio De Chirico, Allen Ginsberg, Federico Fellini, Michel Foucault, Peggy Guggenheim, Giacomo Manzù, Herbert Marcuse, Françoise Sagan, Susan Sontag e Lina Wertmuller, con testi di autori del calibro di Carmelo Bene, Maurizio Costanzo, Henry Miller, Tennessee Williams.

 

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Non presentava solo scoop come le immagini senza veli di Jacqueline Kennedy. Hugh Hefner, il vate di Playboy, accusò la Tattilo di plagio, regalando però notorietà mondiale a Playmen (quando non era ancora nata la versione italiana della rivista delle «conigliette»).

 

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In mostra ci sono anche le copertine, quelle caste, come quella del numero di dicembre 1992 con Milly Carlucci non nuda, quando il prezzo in edicola era di 19.900 lire, e stiamo parlando di un mensile che sfiorava la bellezza di mezzo milione di copie vendute: la capacità della Tattilo (che animava un salotto romano con cene sontuose dove partecipavano non solo esponenti della politica, in particolare i socialisti, ma anche cardinali, e nella villa in Sardegna a Punta Lada, a pochi passi da quella di Silvio Berlusconi, organizzava eventi memorabili) era quella di avere a fianco giornalisti-intellettuali, a partire dal primo direttore, Luciano Oppo, figlio di Cipriano Efisio Oppo, e quindi erede di un gigante della cultura del ventennio che era stato artista, parlamentare, segretario del Direttorio Nazionale dei Sindacati delle Arti Plastiche, segretario del Consiglio Superiore delle Belle Arti, Accademico d'Italia e molto altro ancora.

 

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C'erano scritti di critici come Marcello Venturoli, responsabile delle pagine dell'arte, e il cinema era nelle mani sapienti di Ugo Moretti, un autore di romanzi legati a Roma: uno tra tutti, Doppio delitto al Governo Vecchio, dal quale venne tratto il film Doppio delitto, diretto da Steno, con una stellare Ursula Andress e dei pirotecnici Peter Ustinov e Marcello Mastroianni. E vogliamo parlare di Pier Francesco Pingitore ed Enrico de Boccard?

 

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Nella capitale, negli anni 70, nessuna iniziativa poteva dirsi di successo se non c'era la presenza di uno dei «capi» di Playmen: dalle presentazioni di libri alle esposizioni nelle gallerie d'arte private, dai concerti alle feste, nulla sfuggiva a chi guidava la rivista.

 

Via Bissolati, la storica sede del gruppo Tattilo, era l'epicentro di notizie e potenziali scandali, che spesso venivano «donati» a colleghi emergenti, anche di altre testate. Americani, tedeschi, giapponesi, tutti in fila: generazioni di fotografi di ogni parte del mondo aspiravano a far parte di Playmen, dove a dominare c'era l'obiettivo di Roberto Rocchi, diplomato in ragioneria e laureato in economia e commercio, da molti soprannominato «maestro del glamour» per il suo gusto dell'immagine. E Rocchi passò poi alla corte di Hefner, a Playboy.

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Oggi un museo celebra un'avventura irripetibile, ricordando la parte forse per il grande pubblico meno nota di Playmen, quella culturale, esente da denunce per oltraggio al pudore e che ha contraddistinto almeno 15 anni di storia italiana. Più di tante altre testate "politicamente corrette".

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