Michela Bompani e Matteo Pucciarelli per la Repubblica
Per Marco Doria e la sua maggioranza di centrosinistra è una chiusura ingloriosa: cinque anni al governo della città vissuti tra mille difficoltà e terminati con un buco nell’acqua. Adesso, dopo un martedì di fuoco, con la bocciatura in Consiglio comunale del provvedimento di fusione tra la partecipata dei rifiuti Amiu con Iren — sugli spalti i lavoratori della società ad esultare, per le vie di Genova le proteste sempre dei dipendenti contrari alla privatizzazione —, il professor Doria non si dimette, come aveva in mente di fare, ma annuncia ciò che era nell’aria da mesi: non si ricandiderà per il secondo mandato.
Poco importa se ci si trovi in una storica roccaforte rossa: mancano circa quattro mesi al voto (circola la data dell’11 giugno) e per la coalizione si annunciano tempi difficili. C’è da decidere se quella alleanza Pd più sinistra- sinistra, nata cinque anni fa con la spinta decisiva e l’entusiasmo di don Andrea Gallo, verrà ricostruita.
In caso positivo, quale nuovo candidato individuare e come, visto che le primarie di due anni fa per le Regionali si trasformarono in un disastro. L’unico nome possibile per rimettere insieme i cocci sembra essere quello di Luca Borzani, presidente di Palazzo Ducale e assessore alla Cultura per i due mandati del sindaco Beppe Pericu. Anche Rete a Sinistra, prima perplessa, starebbe convergendo sul nome. Borzani (almeno per ora) ha rimandato al mittente ogni richiesta di candidatura.
Alla finestra ci sono i Cinque Stelle, primo partito in città alle Regionali del 2015: Beppe Grillo è di casa, un bene e anche un male. Lo storico capogruppo a Palazzo Tursi, Paolo Putti, comprovata fede movimentista-ambientalista e stimato trasversalmente, se n’è appena andato, con altri due consiglieri comunali, in rotta di collisione con il fondatore da almeno due anni.
Ragionava troppo con la propria testa. Quanto al centrodestra, la stella polare è il governatore Giovanni Toti: spesso sottovalutato dagli avversari, il suo ultimo capolavoro è stato proprio quello di mandare sotto Doria nella votazione decisiva. Anche se, in teoria, Forza Italia, né i centristi non erano contrari all’ingresso dei privati nella società.
GIULIANO PISAPIA E MARCO DORIA
E qui si apre un capitolo a parte. La maggioranza di Doria si è liquefatta da tempo. Il Pd ha perso pezzi: tre consiglieri al centro e uno a sinistra, l’Idv si è dissolta e ognun per sé, la Lista Doria si è appena spaccata, con due consigliere migrate in Rete a Sinistra, e poi i due consiglieri della già Federazione della sinistra prima votavano secondo coscienza, adesso si sono ancorati saldamente all’opposizione.
«Il voto di ieri (martedì, ndr) sancisce la fine di un’esperienza politica iniziata con le primarie del 2012», ammette il segretario provinciale del Pd, Alessandro Terrile. Non potendo contare sui voti della maggioranza che non ha più, per far passare la delibera Amiu-Iren Doria si appoggiava almeno sull’astensionismo del centrodestra, per niente contrario alla “privatizzazione” della partecipata del Comune. Così come già accaduto in passato. Dal palazzo della Regione, però, a Consiglio in corso, è arrivato l’ordine di issare le scialuppe di salvataggio: «Buttatelo giù». E così per fuoco di fila e fuoco amico, il sindaco dimezzato non ha retto l’urto.
Quelli di Doria, catapultato in politica quasi per caso, nato come “arancione” e finito contestato proprio dai suoi primi sostenitori, sono stati anni complicati. Come quando nel 2013 per cinque giorni i lavoratori della Amt (trasporti) bloccarono Genova per cinque giorni, anche loro contro la privatizzazione. L’ultimo capitolo è la scelta di non ricandidarsi: «Maturata da tempo, comunicata e discussa con chi mi ha sostenuto senza farla diventare pubblica, alimentando anzitempo un clima da campagna elettorale permanente. Ma darò una mano per far vincere il centrosinistra ». Non sarà facile riattivare il dialogo tra il Pd, rimasto fedele obtorto collo al sindaco e la sinistra-sinistra che, delusa, l’ha scaricato.