Carlo Bertini per "la Stampa"
Per dire l'aria: porte chiuse, portaborse assiepati fuori dalla porta cellulari alla mano, dentro tensione che si taglia a fette. Questa la scena del summit del gruppo Pd andato in onda ieri al Senato. Oggetto, il processo dei renziani dem a Simona Malpezzi ed Enrico Letta (non presente), per come hanno condotto la partita del Ddl Zan. Ma con una partita più grossa sullo sfondo, il Quirinale.
Sulla quale, il segretario la pensa così: «Sembrano tutti criceti nella ruota, girano a vuoto mentre per fare l'interesse del paese va affrontato un dossier per volta e non va messo Draghi nel frullatore del totonomi».
Detto questo, l'avviso, recapitato dai renziani del Pd ma anche da altri esponenti vicini a Dario Franceschini, è chiaro: niente strappi sul Colle tipo quello sul ddl Zan, altrimenti si rischia di andare a sbattere. Tradotto: vanno evitate rese dei conti con Renzi e Forza Italia, ora bisognerà ricucire. Letta può vantare di aver portato il Pd in testa al campionato sopra Fdi e Lega, proprio la settimana dopo «la prova di coerenza sullo Zan» (come conferma la supermedia dei sondaggi sfornata da You Trend).
E quello che doveva essere un processo al segretario, si è rivelato un mezzo boomerang: dopo 4 interventi duri contro la linea ufficiale e 25 in difesa, il gruppo Pd al Senato ha rinnovato per acclamazione la fiducia alla presidente Malpezzi. E il segretario ha buon gioco a dire che il partito è compatto, malgrado sia la prima volta dall'inizio del mandato che una fronda, pur minoritaria, lo contesti.
«Quella battaglia non solo non ha fatto male al Pd, ma ha portato in dote all'esterno l'identità del Pd come forza che non indietreggia sui diritti e le piazze piene», dicono al Nazareno, sondaggi alla mano. Letta si sente con la coscienza a posto: «Sul ddl Zan - dice ai suoi - non si poteva far altro che andare avanti e gli italiani hanno capito chi voleva questa legge e chi l'ha bocciata».
«La mediazione non era possibile, bisognava marcare l'identità», ha ribattuto in assemblea la responsabile Diritti, Monica Cirinnà. «Il parlamento non è una curva con le bandierine, si fa uno sforzo e si porta a casa il risultato», punge da fuori Matteo Renzi. «Avevo avvertito Letta che i voti non c'erano». Ma gli attacchi andati in scena al Senato hanno lasciato il segno.
L'ex capogruppo Andrea Marcucci è il primo a uscire allo scoperto sul ddl Zan. «Non essendo riusciti a renderlo legge il nostro è stato un fallimento. Ci serva da lezione, ricordiamoci che per il Quirinale serve un campo largo per davvero, non dobbiamo lasciar perdere neanche un voto».
E' questa la contestazione dei dissidenti, tra cui la Fedeli, Stefano Collina e Luciano D'Alfonso. Ma l'intemerata ha portato per la prima volta alla luce anche la spaccatura degli ex renziani di Base Riformista. Tanto che dalle parti di Letta notano che «quando costringi Alfieri, capofila della corrente, a schierarsi con Malpezzi, non hai fatto certo un capolavoro politico». Quel che è certo è che dopo le prove generali dei franchi tiratori al Senato, nella partita del Colle, il segretario Pd non avrà il pieno controllo dei gruppi parlamentari. Un forte handicap.
dario franceschini ENRICO LETTA