Tomaso Montanari per il “Fatto quotidiano”
Le foto che ritraggono Virginia Raggi e Matteo Renzi mentre assistono, eleganti e beati, alla sfilata di Gucci nei Musei Capitolini ("poi tutti al party a palazzo Brancaccio!", cinguetta l' Ansa) servono a spiegare il trionfo di Matteo Salvini più di un trattato di politologia.
ponte vecchio chiuso per la festa ferrari
Quanto il capo della Lega è bravo a costruire la retorica di una sua prossimità (ovviamente del tutto falsa e strumentale) alla moltitudine di poveri cui è ridotto il ventre del Paese, altrettanto il vertice del M5S (nonostante il tentativo del reddito di cittadinanza) e ovviamente quello del Pd sono 'bravi' nell' apparirne remotissimi, persi nelle stanze di un lusso 'esclusivo' (cioè che esclude). D' altra parte, l' assassino torna sempre sulla scena del delitto: e nel momento in cui anche il più antico museo pubblico occidentale subisce l' umiliazione della privatizzazione commerciale, temporanea ma dall' elevatissimo valore simbolico, Renzi non poteva che essere presente.
Perché il format dei brand del lusso che espugnano i monumenti è un' invenzione fiorentina: simboleggiata da quella sera del luglio 2013 in cui un club di ferraristi chiuse Ponte Vecchio per imbandirci una sontuosa cena. L' anno prima il sindaco Renzi aveva presieduto una sfilata di moda agli Uffizi, nella quale - per celebrare il tema degli abiti 'neocoloniali' (quando si dice Firenze baluardo della sinistra!) - era stata fatta sfilare una tribu di Masai, portati appositamente dall' Africa (e poi velocemente rimpatriati: aiutiamoli a casa loro!).
Stavolta è stata Virginia Raggi in persona a voler trasformare in una boutique di stralusso il più simbolico dei beni comuni che le sono temporaneamente affidati. Si mormora che Gucci avrebbe versato una cifra così ragguardevole da poterci restaurare tutta l' area della Rupe Tarpea.
Ma non si capisce perché, nel momento in cui si decide di 'alienare' un bene comune, la collettività non abbia almeno il diritto di sapere esattamente qual è il prezzo del disonore. E rimane il fatto che i Musei Capitolini sono stati chiusi al pubblico per un giorno e mezzo: una cosa inconcepibile in qualunque altro museo del mondo, dove quando questi esecrabili eventi hanno luogo, non sottraggono al pubblico nemmeno cinque minuti del sacrosanto diritto di visita, così profondamente inseparabile dal concetto stesso di museo.
Nessun danno sembra esser stato arrecato alle collezioni: e non ne dubito, conoscendo la scrupolosa serietà della neo-soprintendente capitolina Maria Vittoria Marini Clarelli, che si è trovata a dover gestire questa degradante serata.
Ma il danno è immateriale, e colpisce profondamente l' idea stessa che abbiamo, e che dovremmo, trasmettere del patrimonio culturale. E non certo perché la moda non sia degna di stare insieme alle opere d' arte del passato: anche se forse è un tantino grottesco dire (come ha fatto l' entusiasta Dario Nardella) che Alessandro Michele di Gucci sia "un moderno Michelangelo".
Il vero punto è che se l' interesse verso la moda fosse genuinamente culturale, invece di usare i musei come location a noleggio, avremmo già creato quel museo della moda che in Italia, clamorosamente, non esiste. E invece no, la moda stessa è pensata solo come una merce qualunque da piazzare mediaticamente, facendola salire sulle spalle dei giganti.
Due anni fa Gucci ci aveva provato con l' Acropoli di Atene, ma la Commissione Archeologica greca cui spettava la decisione respinse l' offerta di due milioni di euro, perché "il valore e il carattere dell' Acropoli è incompatibile con un evento di questo tipo". E il direttore del Museo dell' Acropoli Dimitris Pantermalis aggiunse: "Non abbiamo bisogno di pubblicità. Il simbolismo del monumento sarebbe svilito usandolo solo come 'sfondo' per una sfilata di moda". Allora il poeta greco Pantelis Boukalas spiegò che "il Partenone è parte del patrimonio culturale dell' umanità non solo perché è bello, ma perché è un luminoso simbolo di democrazia.
L' ultimo tentativo di umiliarlo è stata una richiesta della casa di moda Gucci di tenere una sfilata di moda sull' Acropoli, usandolo come sfondo. L' argomento a favore sarebbe che ciò promuoverebbe la libertà dell' espressione artistica e l' innovazione creativa. Questa artificiosa giustificazione non riesce a spiegare perché la libertà artistica dovrebbe passare attraverso la sottomissione di uno dei più grandi simboli dell' umanità a interessi commerciali. L' argomento che esso beneficerebbe dell' enorme compenso o della pubblicità dell' evento è solo il travestimento di un cinismo abbietto".
harry styles, stevie nicks e alessandro michele
Parole auree, che inutilmente si cercherebbero sulle labbra e nei pensieri di qualcuno tra i governanti italiani: ed è ben triste che, anche in questo, i pentastellati si rivelino del tutto indistinguibili dai piddini.
Mai come in questo momento avremmo bisogno di sottrarre i beni comuni simbolici alla dittatura del mercato; di far capire la differenza tra pubblicità e cultura; di usare i musei per produrre conoscenza e cittadinanza: e dunque eguaglianza, e non legittimazione del lusso estremo.
Mai come ora avremmo bisogno che i palazzi civici (come il Campidoglio) fossero restituiti, anche sul piano simbolico e della comunicazione, al popolo: e non sequestrati dall' unico vero potere, quello del denaro. Mai come oggi avremmo bisogno di sindaci e politici che lottino nelle periferie, mettendosi accanto alla massa dei diseredati: e non impegnati a imbucarsi nel jet set. Ma pare inevitabile: quando la nave affonda, le luci e i suoni dell' orchestra sono irresistibili.
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