Francesco Manacorda per “la Stampa”
Si scrive Enel ma si legge Telecom. Che il colosso elettrico, chiamato in causa da fonti di governo come partner per un’infrastruttura di telecomunicazioni a banda ultralarga, sia o non sia tra i prossimi protagonisti della partita in fondo poco importa. Quel che conta, invece, è che il braccio di ferro tra Telecom Italia e il governo guidato da Matteo Renzi è di quelli durissimi.
Succede che Palazzo Chigi vuole creare una sorta di autostrada ad altissima velocità dei bit che arrivi dappertutto, nelle grandi città come nei paesini. L’obiettivo - afferma - è quello di rendere il Paese più connesso e produttivo: sulla banda ultralarga passerebbero i film in streaming come le applicazioni industriali o commerciali. Per attuare il suo programma il governo vuole usare come base Metroweb, società controllata dalla Cassa depositi e prestiti - cioè dallo stesso governo e dalle Fondazioni bancarie - che ha già cablato con la fibra ottica la rete di tlc di Milano e lo sta facendo in altre grandi città del Nord.
E in accordo con Palazzo Chigi la Cdp - presidente è Franco Bassanini, consigliere assai ascoltato da Renzi - vorrebbe portare a bordo dell’iniziativa le maggiori società telefoniche per dividere i costi. Ma Telecom non ci sta: vuole subito la maggioranza di Metroweb per poi arrivare al 100%. Dalla Cdp rispondono picche: vogliono il condominio.
Telecom decide allora che si muoverà da sola: prevede che comunque per fine 2017 porterà la fibra ottica al 75% della popolazione italiana, anche se gli ultimi metri saranno sul meno capiente cavo di rame, e che per la stessa data 40 grandi città italiane avranno la fibra fino a casa dei clienti. È qui che si crea la prima frattura.
Franco Bassanini e Linda Lanzillotta
La società telefonica, che otto anni fa era stata «strappata» all’interesse dell’americana At&t dal secondo governo Prodi, garantendo la sua italianità grazie a una cordata di azionisti finanziari - Mediobanca, Generali, Intesa-Sanpaolo e i Benetton più l’operatore spagnolo Telefonica - oggi sta cambiando soci di riferimento. Tutti i gruppi finanziari hanno infatti già venduto o annunciato di voler vendere, mentre Telefonica ha un accordo con il gruppo francese Vivendi, per cedergli tra breve il suo 8,3% di Telecom. Così - si lamenta nei palazzi della politica romana - i vertici della società telefonica nicchiano, rimandano le decisioni, «aspettando Godot. Anzi, aspettando Vincent».
Vincent chi? Proprio questo è il secondo problema. Vivendì è controllata da Vincent Bolloré, l’imprenditore e finanziere bretone che da anni cerca un posto al sole in Italia. E Bolloré, è il timore che aleggia a Palazzo Chigi e dintorni, vuol dire anche Silvio Berlusconi, con il quale ha rapporti molto buoni. Dunque nozze Telecom-Mediaset in vista? Alcune fonti ben informate lo escludono; altre sostengono che Mediaset, desiderosa di vendere Mediaset Premium, potrebbe comunque usare la Telecom “vivendizzata” per avere un’altra offerta da contrapporre all’eventuale proposta di Sky . Nel dubbio, meglio diffidare di Vincent.
Vincent Bollore e Alberto Nagel foto LaPresse
E proprio perché le strategie di Telecom piacciono poco o nulla al governo - mentre la banda ultralarga gli piace tantissimo - in queste ore riprende quota un’idea che circola da qualche tempo. Con un 10% di Telecom in mano pubblica - si spiega - alcune operazioni sulla rete sarebbero più facili. Del resto l’ipotesi era presente anche quando si parlava di un’alleanza Metroweb-Telecom. I privati di Telecom contro il pubblico o invece il pubblico in Telecom? La partita - con buona pace dell’Enel - è questa.