Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
GIUSEPPE CONTE ROBERTO SPERANZA
Ritardi, dubbi interpretativi, fughe di notizie e fughe in avanti. Nella lunga notte del decreto che ha isolato la Lombardia e 14 province del Nord, la «concertazione» tra governo e Regioni ha prodotto un insieme di acuti e note stonate. Una cacofonia tale che il ministro degli Affari regionali Francesco Boccia ha dovuto riunire i governatori e il ministro della Salute Roberto Speranza e lavorare al «maxi-rattoppo». Vale a dire, l' ordinanza con cui il governo ricuce gli strappi tra le istituzioni e prova a superare le decisioni unilaterali dei presidenti delle Regioni.
roberto speranza francesco boccia
Tutto comincia alle tre di domenica mattina, quando Giuseppe Conte scende in sala stampa per illustrare le ultime, durissime norme per frenare la corsa del coronavirus. Alla domanda se «cambierà molto il decreto dopo il confronto con le Regioni», il presidente chiude: «Il confronto c' è già stato». Scelta legittima, per il capo di un esecutivo che si è assunto piena responsabilità di decisioni necessarie e dolorose, ma i governatori sono in rivolta. «Lo abbiamo saputo dai siti web», si è infuriato il leghista Luca Zaia rivelando l' esistenza di un «problema» con Palazzo Chigi.
Il presidente del Veneto racconta che alle 2.30 del mattino, quando si è confrontato al telefono con Fontana e Bonaccini, i tre governatori erano ancora convinti che avrebbero potuto lavorare al decreto fino all' alba: «Ma non ci è stato dato il tempo». I presidenti del Nord, che puntavano a ottenere da Conte una norma stringente per imporre la quarantena a chi, senza troppo curarsi della salute altrui, lascia i luoghi oggetto di restrizioni, lamentano che per la prima volta non si è fatta una videoconferenza e che il testo è stato inviato alle Regioni solo alle sette della sera.
Quanto all' aver fatto fuoriuscire la prima bozza, dove la Lombardia era «zona rossa», tutti concordano nel definire l' incidente una cosa «irresponsabile», che rivela una gestione «emotiva e improvvisata».
Insomma, Conte va avanti e nel mezzo della notte firma il decreto. E così il Veneto, che aveva chiesto lo stralcio delle tre province di Padova, Treviso e Venezia, se le ritrova dentro la zona off limits. E Stefano Bonaccini, altrettanto insoddisfatto e preoccupato, chiede a Conte risposte sulle «lacune» del decreto.
Gli echi e le dissonanze dell' altra notte sono arrivati al Quirinale, dove il livello di allarme è altissimo. Raccontano che il presidente Sergio Mattarella guardi con favore alla possibile nomina di un «supercommissario» che consenta al governo di parlare con una voce sola. Oltre a Matteo Renzi, anche Matteo Salvini e Gianni Letta avrebbero fatto al presidente il nome di Guido Bertolaso, il medico che ha diretto la Protezione civile e gestito le grandi emergenze del Paese, dai rifiuti ai terremoti.
L' idea di un commissario con i superpoteri circola da giorni nel governo, dove quei ministri che non hanno ricevuto la bozza del decreto soffrono la mancanza di collegialità. Tra coloro che invocano regole più stringenti c' è Vincenzo Spadafora. Il responsabile dello Sport voleva mettere nero su bianco nel decreto il divieto di far giocare le partite di calcio di serie A nelle zone interdette, ritenendo «irresponsabile» tirar calci a un pallone mentre l' Italia agonizza. Ma nella conferenza stampa notturna Conte ha dato il via libera al campionato a porte chiuse, rivelando il contrasto al vertice del governo.
Molta confusione, sul piano decisionale e comunicativo, avvertono anche i settori produttivi, che temono il collasso e si fanno sentire. Confindustria e altre associazioni di categoria sono in pressing sul governo per allentare la morsa sul Nord Italia. La traccia del lavorio delle lobby sta in una parola chiave, cambiata nel testo finale rispetto alla prima bozza: i motivi di lavoro che consentono gli spostamenti erano «indifferibili» e ora basta che siano «comprovati».
E c' è un altro indizio che rivela le tensioni e le pressioni di chi vuole impedire alle industrie del Paese di fermarsi. È la «nota esplicativa» con cui la Farnesina spiega che i «transfrontalieri potranno entrare e uscire dai territori interessati per raggiungere il posto di lavoro e tornare a casa». Se verranno fermati dalle forze di polizia per un controllo potranno comprovare le loro ragioni «con qualsiasi mezzo», compresa una semplice «dichiarazione».