Tonia Mastrobuoni per “la Repubblica”
Nello sforzo titanico di ridurre la politica e l' economia globale alla dimensione trumpiana di "buono", "cattivo" e "grandioso", i Sette grandi hanno concluso ieri il vertice più faticoso di sempre: ne è testimonianza più cruda il fatto che sia la cancelliera tedesca che il presidente americano abbiano disertato la conferenza stampa finale. La sfida, adesso, è capire se una settimana basterà perché il capo della Casa Bianca riesca a leggere l' Enciclica sul clima regalatagli dal Papa per sciogliere la riserva sugli accordi di Parigi.
O se il gruppo di lavoro Germania- Stati Uniti riuscirà a convincere Trump che il surplus tedesco non è fatto solo di Mercedes parcheggiate sulla Quinta strada ma di milioni di posti di lavoro in Usa e in Europa. Tuttavia, al di là della conta dei successi e dei fallimenti, è chiaro che il G7 di ieri è sembrato una disperata difesa dell'esistente.
Sul libero scambio, sulla Russia, sui migranti, sul clima, su ogni tema su cui il consesso dei Paesi più avanzati dava per scontata da anni un' ampia consonanza, bisognerà rinegoziare tutto, ogni volta. E ogni volta si tratterà di trascinare al tavolo il campione del mondo libero di una volta, autoproclamatosi rabbioso portatore di finte istanze popolari, polarizzate in un mondo di belli, brutti o cattivi.
BLOCCATE LE INTESE DI PARIGI FORSE SE NE RIPARLERÀ AL G20
trump gentiloni abe may trudeau
La "cancelliera dell' ambiente" come ama essere chiamata sin dal difficile vertice di dieci anni fa di Heiligendamm, quando Angela Merkel spese tutte le sue energie per imbarcare George W. Bush nella lotta ai cambiamenti climatici, non ha usato giri di parole. Il risultato del negoziato sul clima «è molto insoddisfacente», ha sottolineato, prima di ripartire da Taormina (come previsto da prima del summit) senza conferenza stampa.
La dichiarazione finale, limata sino alle 3 di notte, contiene un inequivocabile schema "sei contro uno". Sostiene che «gli Usa sono in un processo di revisione delle proprie posizioni sui cambiamenti climatici e sugli accordi di Parigi». Perciò Washington non aderisce per ora alla promessa degli altri partner ad applicare le intese sulla riduzione di Co2.
Ma Trump ha promesso che deciderà «la prossima settimana». Dopo mesi di negoziati degli sherpa è comico, ma vero. Intanto, Merkel e Macron dicono che non arretreranno di un millimetro. La cancelliera ha intenzione di riproporre il tema a luglio, al G20 di Amburgo. Sembra fondata l' impressione di uno sherpa, che parla di Trump come del «grande vuoto» sull' ambiente. E non solo su quello, par di capire.
NO AL PROTEZIONISMO MA BERLINO RIMANE ALL' ERTA
«Prima dell' arrivo dei cinesi, l'acciaio americano andava bene». Benvenuti nel piccolo mondo antico di Donald Trump. Questo è un esempio del linguaggio e dei concetti dell'uomo più potente del mondo, espressi dietro le porte chiuse della riunione del G7. Al di là della lunga tirata di luoghi comuni che avrebbe inflitto ai partner del G7, dopo una nottata di negoziato durissimo un risultato positivo sul commercio c'è.
Quella "lotta al protezionismo" che il suo segretario al Tesoro, Mnuchin, era riuscito a far stralciare dalle riunioni finanziarie del G20 e del G7, è tornata ad abbellire la dichiarazione finale dei Sette grandi. Ma un' aggiunta "trumpiana" c' è: «Restiamo fermi nell' impegno a contrastare tutte le pratiche di commercio iniquo».
Il riferimento è alla polemica contro Cina, Giappone, Germania e altri Paesi, rei di avere un surplus commerciale eccessivo nei confronti degli Usa. Peraltro, siccome il braccio di ferro con Merkel è riemerso anche tra il vertice Nato e il G7, il bilaterale tra Trump e Angela Merkel di venerdì è servito a concordare un "gruppo di lavoro" tedesco-americano che dovrà affrontare le principalNo al i questioni economiche e il nodo centrale del commercio.
LA LOGICA DELLE FRONTIERE NESSUNA REGIA SUI FLUSSI
«Pur nella salvaguardia dei diritti umani dei migranti e dei profughi, riaffermiamo il diritto sovrano degli Stati, individualmente e collettivamente, di controllare i propri confini e stabilire politiche nell' interesse nazionale e nell' interesse della sicurezza».
Nella dichiarazione finale dei Sette grandi, è la parte che brucia di più. Per l' Italia, che era partita mesi fa con l' intento di costruire un' agenda di sostegno ai Paesi africani, di prevenzione dell' immigrazione, è una sconfitta.
La delusione delle associazioni dei diritti umani rivela quanto sia micidiale la formulazione che gli americani hanno insistito per scrivere nel comunicato finale, grazie all' insistenza di falchi come Stephen Miller. Per Oxfam «il G7 guarda più alla difesa delle rispettive frontiere e degli interessi nazionali», concedendo tetti e limiti agli ingressi, «che alla definizione di un approccio inclusivo e integrato in gradi di gestire efficacemente e nel rispetto dei diritti umani un fenomeno epocale, ma anche naturale».
NUOVE E VECCHIE SANZIONI GUARDANDO A MINSK
Scongiurate le promesse "trumpiane" più strombazzate in campagna elettorale, quelle di togliere le sanzioni alla Russia e riconoscere la Crimea, i partner del G7 hanno tenuto duro su uno dei dossier più spinosi.
Complice un Russiagate che in patria ha raggiunto la cerchia ristretta del presidente e che sembra aver suggerito un profilo piuttosto basso al tavolo dei potenti, i partner sono riusciti a strappare a Washington l'impegno a «prendere ulteriori misure restrittive per aumentare le pressioni sulla Russia, se le sue azioni lo renderanno necessario».
Fermo restando - e con gli Stati Uniti al tavolo non è poco - che serve la «piena applicazione da parte di tutte le parti degli impegni sugli accordi di Minsk» (ossia il rispetto della tregua) e che «va sottolineata la responsabilità della Russia nel conflitto» e «ribadita la condanna dell' annessione della Crimea». Sul capitolo Siria, i Sette grandi a Taormina hanno rivolto un appello alla Russia e all' Iran per una risoluzione positiva del conflitto.