Lettera di Renato Brunetta a Dagospia
Ciao Dago,
il caro Giuliano Ferrara consegna ai lettori del “Foglio del lunedì” un apocrifo berlusconiano che non c’entra nulla con Berlusconi, ma è il parto del sonno di una ragione brillante ed oggi intortata dalla illusione di risolvere con un paio di colpi di pettine il futuro incasinato dell’umanità.
In sintesi: Berlusconi è dio, ma è un dio ormai destinato a godersi la propria giovanile vecchiaia come uno di quei re fannulloni della stirpe dei Merovingi. Al suo posto c’è un nuovo dio, che ha la metà dei suoi anni, le stesse idee, metodi, pensieri: Renzi, e chi altri se no? Berlusconi dovrebbe secondo Ferrara fare outing. Riconoscere pubblicamente, con un solenne discorso, che Matteo è la sua reincarnazione, punto e basta. E il resto a ramengo.
Il consiglio che Ferrara dà a chi non vuole accettare lo spettacolo dell’Araba Fenice, con il Cavaliere brianzolo che risorge in panni fiorentini, è di rassegnarsi. Di adeguarsi. E semmai, se proprio non vogliono mettere la nuova maglietta e inalberare le insegne col Giglio invece che col Biscione, non rompano le scatole.
Si inabissino a lavorare nel sottosuolo, come Mime nella sua fucina wagneriana, a farsi venire un’idea vera e seria di destra radicale, non salviniana o grillina. Ecco, quest’ultime parole le sottoscriviamo intere. Solo quelle.
La nostra osservazione è molto semplice. Si basa sul dato di realtà. Ed è questo: Berlusconi quel discorso non lo farà. E non perché sia intimidito da qualche modesto pensiero dei suoi “sorcini” (così chiama Ferrara gentilmente i berlusconiani): lui se li magnerebbe da quel gattone che è.
Ma per due ragioni. Berlusconi non è come lo dipinge Ferrara. Ma neppure Renzi. E Ferrara dovrebbe avere l’umiltà di capire che non sempre riesce a far ballare i personaggi della storia e della politica come i giornalisti del suo teatrino quotidiano.
Colpisce che un hegeliano di destra come Ferrara, più Engels che Marx, più sistema che dialettica, sia scivolato dall’iperrealismo alla fantasticheria. È come se lo spirito della storia e la pretesa di sentirsene l’interprete unico autorizzato, si fosse trasformato in spirito di patata, ubriacandolo malamente dei suoi sogni.
È un po’ la punizione per aver cercato di prendersi la rivincita a tradimento, dopo aver affrontato le medesime questioni in contraddittorio, ed essere usciti piuttosto malconci.
L’ésprit de l’escalier, come lo chiamava Proust, spesso ubriaca. Persino la prosa non gli rende onore. Non somiglia né all’eloquio diretto e pratico di Berlusconi né alla retorica screanzata e giuliva di Renzi.
A furia di voler far somigliare l’oro di Silvio alla tolla di Matteo, Giuliano ha finito per non somigliare neppure a se stesso.
"Il Mattinale" di Renato Brunetta