1 - RAGGI: LA SCONFITTA NON E’ COLPA MIA
Simone Canettieri e Stefania Piras per “il Messagero”
Il buongiorno di Virginia Raggi è un diluvio di agenzie di stampa. E di speculazioni contro di lei: il flop del M5S è colpa dell'«effetto Roma». Dei pasticci in giunta, delle inchieste, di quella «percezione del cambiamento» che dopo un anno ancora non si vede. Lei, la sindaca, non parla in pubblico delle amministrative. Anzi, risponde alle critiche con un forte atto per il decoro cittadino (l'ordinanza sulle fontane storiche) poi riunisce i collaboratori e guarda i dati del voto.
Il ragionamento della pentastellata è questo: «Io non ho colpe». Anzi, aggiunge qualche fedelissimo spingendosi avanti, «in due comuni della città metropolitana siamo al ballottaggio». Paolo Ferrara capogruppo M5S in Campidoglio detta la linea della casa: «Se Roma ha influito? Non credo, qui le cose stanno veramente cambiando».
CASO ROMA
Il capogruppo di M5s nel Consiglio regionale delle Marche Gianni Maggi, invece dice che il M5S non è stato aiutato «dal caso Roma, dove Virginia Raggi ha pagato il prezzo del noviziato in una situazione certamente complessa». La strategia ora prevede di costruire intorno alla sindaca un profilo legalitario, con una serie di ordinanze molto restrittive. Insomma, cose da sindaci. Zero politica di palazzo.
Anche l'ala più critica del Campidoglio, quella lombardiana per una strana eterogenesi dei fini si spinge in questa analisi: «Se c'è stato un effetto sul voto è per il pasticcio della legge elettorale, non per colpa nostra». Insomma, in Campidoglio più che a Parma o Palermo, Genova o Taranto pensano ai ballottaggi di Guidonia e Ardea. «Noi non siamo un partito, non abbiamo dirigenti». Lo dice con un super piglio da dirigente di partito il senatore Nicola Morra che fa l'analisi del voto seduto pensoso in poltrona con tanto di biblioteca alle spalle.
E come lui fanno molti. Nessuno nel M5S rinuncia a declinare il verbo di Grillo che sul blog ha parlato di «successi, fallimenti e obiettivi». «La maggior parte delle città - dice Grillo - sono state conquistate da ammucchiate di liste civiche. Senza di loro il Pd di Renzi altro che sindaci: avrebbe faticato a mettere anche solo qualche consigliere comunale! Stiamo assistendo alla lenta scomparsa di un partito». E premia il valore supremo degli ortodossi: la coerenza.
Grillo prova a vedere i lati positivi. Ci sono: Carrara va al ballottaggio con Francesco De Pasquale. E avverte: «Tutti gongolano sulla fine dei grillini. L'hanno detto dopo le politiche, dopo le europee, dopo le regionali, dopo il referendum. Fate pure anche ora. Illudetevi». Dice anche che il Movimento cresce in tutte le città in cui si è presentato. Ma non è proprio così. A Monza il M5S ha totalizzato il 7,6 per cento, cinque anni fa aveva il 10. A La Spezia, idem, il Movimento ha perso il 2 per cento.
Ma l'importante è andare per la propria strada, sottolinea un Grillo amareggiatissimo. È la linea degli ortodossi questa, da sempre. Ortodossi che ieri hanno rialzato la testa contro un Movimento più mobile che ha il volto di Luigi Di Maio.
TERRITORI
«Non possiamo avere dei Di Maio ovunque» scrive un portavoce che ammette le difficoltà di scegliere e coltivare i migliori. Punta molto sull'attivismo di base, ed è effettivamente una sua specialità, la deputata romana Roberta Lombardi. «l rapporto con i territori non è qualcosa che si costruisce in un giorno - dice - Per chi come me lavora da anni su Roma e nel Lazio il cittadino che si fa Stato non è né uno slogan. In una parola: attivismo, soprattutto da parte dei portavoce eletti».
A Roma l'attivismo fra l'altro è uno dei nervi scoperti: c'è un Movimento che sente la necessità di tornare a discutere. Per questo è stata fissata per il 24 giugno, giorno prima dei ballottaggi, un'altra assemblea dei tavoli tematici che sono (erano?) le sedi di discussione politica del M5S romano.
Infine parla anche la deputata lombarda Paola Carinelli che fa parte del collegio dei probiviri. «Le amministrative per il M5S sono - da sempre - le elezioni più complesse. Io credevo che in alcuni comuni ce l'avremmo fatta e invece no. Quindi che si fa? Ci presentiamo quasi sempre con candidati sconosciuti. Ma non è questo l'obiettivo del Movimento? Noi crediamo nel cittadino che si fa Stato». Secondo questo ragionamento andrebbero di volta in volta rinnovate tutte le cariche, anche quelle dei probiviri, come si fa con i capigruppo e lasciar entrare nella prossima legislatura un esercito di illustri sconosciuti.
2 - RESA DEI CONTI SU DI MAIO
Mario Ajello per “il Messaggero”
Allarme giallo. Il colore dei 5Stelle. Avevano la certezza della vittoria in Sicilia e adesso - visti i risultati da Palermo a Trapani - i grillini a cominciare da Grillo iniziano a temere che dall'Isola possa non partire la loro marcia di conquista della Penisola. Nella quale divampa subito il processo a Di Maio. Il responsabile degli enti locali è lui. E a lui viene imputato, da gran parte del movimento, il flop delle amministrative: «Ha pensato più alla sua carriera che al movimento», l'accusa ricorrente.
Ma Casaleggio lo blinda: «Dobbiamo dargli fiducia, è il più bravo», ripete a chi lo ha sentito. La sua candidatura, non ancora ufficializzata, alla premiership non è in discussione, almeno per ora. E Luigi, conscio di avere il favore dei vertici, anche in queste ore parla da uomo forte e sicuro di sé.
LE CHIAMATE
Intanto Grillo ha chiamato i pentastellati siciliani, e per primo il candidato governatore Cancelleri, dicendo: «Nella vostra terra, alle Regionali del 5 novembre, ci giochiamo tutto. Non sprechiamo l'occasione». E ancora: «Dalla Sicilia, comincia la nostra riscossa». Ma questa è anche la terra in cui, dopo la scoperta in queste ore della vulnerabilità pentastellata, sia il centrosinistra sia il centrodestra stanno pensando a come bloccare in origine la possibile valanga M5S che vorrebbe risalire l'Italia.
Riuscirà Leoluca Orlando, che da ieri non pensa ad altro ma da presidente dell'Anci siciliana già ci stava pensando da più di un anno, a inventare una candidatura civico-politica capace, come nel caso suo a Palermo, a togliere consensi ai grillini? Operazione complicata.
Così come quella che Renzi, via Guerini, sta cercando di fare con Piero Grasso: convincere il presidente del Senato a candidarsi presidente regionale. Soltanto se glielo chiede Mattarella - dicono nel Pd siciliano, uscito a pezzi dalle amministrative - Grasso potrebbe cedere. Ma Mattarella, che pure è siciliano, è lontanissimo - come si sa - dall'occuparsi di cose politiche e ha un profilo super-partes assolutamente inattaccabile.
Gianfranco Micciche Grande Sud
E comunque, la batosta delle comunali, da Sud a Nord e ritorno, è quella che fa dire a Grillo: «Ci siamo imbolsiti». Ed è quella per cui l'evidenza di un'assenza di classe dirigente è un problema su larga scala. Per evitare il flop politico generale, il leader M5S sta chiedendo ai suoi parlamentari sui territori di essere più presenti nel concreto della vita delle città - dove si costruisce il consenso politico nazionale - non solo sul web o nella vita istituzionale romana. Sulla quale i ragazzi del movimento - e i più sinceri lo ammettono - sembrano precocemente adagiati.
Dunque la parola d'ordine è: «Tornare al popolo». Il rischio è che da trampolino nazionale l'isola si trasformi in trampolino rotto. Dove Gianfranco Miccichè, vincitore con FI all'8% a Palermo e in corsa in molti ballottaggi, vuole mettere in campo alle Regionali la candidatura di Stefania Prestigiacomo. Donna, moderata, forse trasversale e forse insidiosa. Mentre Orlando cerca qualcuno dal profilo simile al suo, che possa togliere voti ai grillini.
LO CHOC
Lo choc del grillismo cadente (ma per loro le amministrative sono sempre andate peggio di altre elezioni) è condensato in quei 1000 comuni da Nord a Sud in cui si è votato ma solo in 140 i cinque stelle hanno presentato la lista, appena in 9 sono arrivati al ballottaggio e in 2 sono riusciti ad eleggere il sindaco al primo turno. Ma non si tratta più di Roma o di Torino, bensì di Sarego e di Parzanica.
«Basta con le beghe e le faide»: è l'altra direttiva di Beppe. Si accompagna alla convinzione che i grandi testimonial e le super-star in tour da karaoke che riempiono le piazze della Penisola (dal Dibba a Di Maio, allo stesso Grillo in verità) non bastano più per riempire le urne.
Anche da questo punto di vista, la Sicilia si è rivelata un campanello d'allarme che suona fortissimo. E quaggiù, la paura dei militanti M5S viene espressa così: «Dobbiamo essere più visibili, più presenti, più prossimi. Più classici e meno internettiani». Ma il bisogno di legalità in Sicilia c'è, ed è assai profondo.
Se i grillini non lo sapranno sfruttare bene qui, dove sono in vantaggio nelle Regionali anche per assenza finora di organizzazione da parte degli avversari, la grande partita italiana sarà in salita. Magari la Sicilia la prenderanno, visto che il treno è già partito, ma la nave per superare lo Stretto non è detto che riuscirà a salpare.