1. AL CSM SOTTO ESAME PER «INCOMPATIBILITÀ» VENTI MAGISTRATI COINVOLTI NELLE CHAT
Giovanni Bianconi per il ''Corriere della Sera''
La prima commissione del Consiglio superiore della magistratura, quella che decide sulla sanzione para-disciplinare dei trasferimento d'ufficio «per incompatibilità ambientale», ha già avviato una ventina di istruttorie preliminari per valutare le posizioni di altrettante toghe che compaiono nelle chat di Luca Palamara. Se gli accertamenti dovessero confermare che le conversazioni e gli argomenti trattati superano soglie di inopportunità e imbarazzo tali da rendere problematico restare nell'incarico ricoperto senza perdere prestigio e credibilità, si potrebbe proporre la rimozione, da sottoporre al plenum dell'organo di autogoverno.
Come è accaduto con Cesare Sirignano, già sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia, mandato via perché ritenuto coinvolto «nelle intenzioni e nelle strategie» dell'ex pm accusato di corruzione, tra cui il condizionamento della nomina del nuovo procuratore di Perugia; con espressione di valutazioni e giudizi su colleghi che ne hanno determinato un «appannamento dell'immagine di indipendenza ed imparzialità» che non gli consentiva di rimanere in quell'ufficio.
Per Sirignano è in corso anche un procedimento disciplinare avviato dalla Procura generale della Cassazione, come per Palamara e i cinque ex componenti del Csm dimessisi dopo che, un anno fa, sono state diffuse le intercettazioni del loro incontro con l'ex pm e due deputati in cui si mettevano a punto le strategie per nominare un procuratore di Roma gradito ai presenti.
Decisioni analoghe per altri magistrati potrebbero arrivare per decisione del procuratore generale Giovanni Salvi, che da un paio di mesi ha messo al lavoro un gruppo di sostituti per analizzare tutto il materiale trasmesso dalla Procura di Perugia. Che a conclusione dell'inchiesta penale è diventato molto più voluminoso: tutte le conversazioni telefoniche e via chat di Luca Palamara, sia quando sedeva al Csm sia dopo.
Fino a maggio 2019, quando è venuta alla luce l'indagine a suo carico. L'attuale Csm, rinnovato per quasi un quarto proprio a seguito del «caso Palamara», attende le determinazioni del pg della Cassazione, ma nel frattempo s' è dato nuove regole e nuove procedure per le nomine. Che hanno determinato scelte considerate di prestigio, a volte sofferte ma comunque trasparenti. A volte all'unanimità, o con maggioranze molto ampie; altre volte frutto di divisioni e dibattiti alla luce del sole e schieramenti diversificati, anche trasversali e non predeterminati.
giovanni salvi foto di bacco (1)
Fra queste ultime ce ne sono tre considerate particolarmente importanti proprio perché più o meno direttamente connesse alle vicende di cui è stato protagonista l'ex pm indagato per corruzione. La nomina del pg Salvi, il titolare delle azioni disciplinari prossime venture, è stata decisa il 14 novembre 2019 con 12 voti a favore (i togati di Area e Autonomia e indipendenza più i laici indicati dai Cinque stelle); 4 e 3 sono andati ad altri due candidati, 5 consiglieri si sono astenuti. Michele Prestipino è stato nominato procuratore di Roma, il 4 marzo scorso, con 14 voti al ballottaggio con un altro candidato, raccogliendo il consenso dei togati di Area e Unità per la costituzione, e 3 su 5 dei consiglieri eletti con Autonomia e indipendenza, più i togati di espressione grillina.
Più di recente, mercoledì scorso, Raffele Cantone è diventato procuratore di Perugia grazie ai 12 voti espressi dai togati di Area e i sette laici espressione di Cinque stelle, Forza Italia e Lega (l'unico indicato dal Pd, David Ermini, è vicepresidente e di norma non vota). Maggioranze diversificate, a volte persino risicate. Che hanno dato luogo anche alle spesso evocate «spaccature» in seno all'organo di autogoverno, che però al Csm rivendicano come segnale di libertà di espressione: niente a che vedere com accordi di potere e lottizzazioni.
2. PALAMARA FINGE DI FARE I NOMI MA SONO QUELLI NOTI (PER ORA)
Luca Fazzo per ''il Giornale''
Che un uomo come Luca Palamara, passato in una manciata di giorni dagli altari del potere alla polvere dell'incriminazione, abbandonato e misconosciuto da tutti quelli che gli baciavano la pantofola, perda alla fine equilibrio e lucidità, fa parte dell'animo umano. Così la reazione apparentemente furibonda di Palamara alla sua espulsione dall'Associazione nazionale magistrati, di cui era stato a lungo presidente e leader indiscusso, rischia di venire letta come un gesto scomposto.
Perché in una serie di dichiarazioni Palamara tira in ballo con nomi e cognomi una sfilza di magistrati che finora sono scampati ai guai giudiziari e disciplinari che lo stanno travolgendo: e che lui indica invece come collusi o comunque beneficiari del sistema di spartizione delle cariche giudiziarie da parte del Consiglio superiore della magistratura passato alle cronache come «sistema Palamara».
Ma se Palamara, come dice ieri qualcuno, «ha dato fuori di matto», bisogna riconoscere che in questa follia c'è del metodo. Infatti se si esaminano con attenzione i nomi che Palamara squaderna dopo avere promesso «adesso faccio i nomi», si scopre che il pm romano (attualmente sospeso dal servizio) fa solo e soltanto i nomi di magistrati che erano già comparsi negli articoli di stampa che riferivano il contenuto delle chat trovate sul suo telefono dal virus della Guardia di finanza.
C'è una sola eccezione: Eugenio Albamonte, una delle «toghe rosse» più in vista d'Italia, esponente dell'ala sinistra di Magistratura democratica. Ad Albamonte, Palamara rinfaccia due vicende: una sono gli incontri con Daniela Ferranti del Pd per scegliere il nuovo vicepresidente del Csm; l'altra, più scomoda, è il passaggio come segretario al Csm e poi il ritorno in Procura a Roma.
«Quello di Albamonte è un altro bel capitolo», dice nell'intervista alla Verità, invitando a verificare come avvennero i passaggi. Ma il trattamento riservato ad Albamonte ha una spiegazione: il rientro della «toga rossa» in ruolo avvenne quando Palamara non faceva ancora parte del Csm. E quindi viene citato solo per dimostrare che anche prima di questi anni, i sistemi in voga non erano diversi. Per il resto, Palamara picchia a destra e manca: ricorda che Bruno Di Marco, il presidente dei probiviri che lo hanno espulso, difendeva un magistrato finito in carcere, Giancarlo Longo, siciliano come lui; accusa un altro proboviro, il procuratore di Bologna, Giuseppe Amato, di avere ottenuto il suo posto grazie ai «meccanismi di cui oggi si parla».
E poi ce n'è per tutti, da toghe di sinistra come Claudio Viazzi e Francesco Minisci, ex presidente dell'Anm, a giudici di centro come Giuliano Caputo, attuale segretario dell'associazione, o Bianca Ferramosca di Roma, o Alessandra Salvadori di Torino. Colleghi che vengono tirati in ballo da Palamara a volte con le buone, specificando che si tratta di gente di valore; a volte più brutalmente. Un gesto scomposto? Mica tanto. Perché in realtà le rivelazioni di Palamara non rivelano niente.
luca palamara giuseppe cascini
I nomi che detta ai taccuini sono gli stessi che le chat, compulsate in queste settimane da buona parte dei magistrati italiani, avevano già messo in luce. Possibile che non ci sia almeno un caso di nomina «aggiustata», un solo esempio di carriera trattata a forza di lusinghe e promesse, oltre a quelle intercettate dal trojan dell'indagine perugina? Ovviamente no, perché i buchi temporali dell'inchiesta sono enormi: le intercettazioni telefoniche partono il 3 marzo 2019, quando Palamara non fa più parte del Csm da sei mesi; il trojan risale ai messaggi scambiati da Palamara a partire dal 2018.
Tutto il prima, i tre anni iniziali di Palamara al Csm, quelli di molte scelte decisive, sono rimasti fuori dall'inchiesta. Ci sono nomine cruciali, e manovre sottobanco: la più clamorosa di tutte, quella che nel 2017 fece inserire da una «manina» la norma che permetteva ai magistrati fuori ruolo di rientrare e venire subito promossi. Se saltassero fuori i dialoghi di quegli anni, sulla magistratura si abbatterebbe un'altra bufera. Sono quelli i veri segreti che oggi Palamara custodisce ancora. E ieri manda un messaggio implicito ma chiaro: «di quelle cose per ora non parlo». Per ora.