Francesca Ghirardelli per avvenire.it
Dodicesimo giorno di barricate ieri nel nord del Kosovo a maggioranza serba, lungo le principali arterie che dalla città “divisa” di Mitrovica corrono verso la frontiera con la Serbia. La brace delle tensioni interetniche continua ad ardere sotto la cenere e ora manda fiammate in superficie.
«Negli ultimi ventitré anni, cioè dalla fine della guerra, questo territorio ha attraversato diverse crisi, ma mai una situazione seria come quella attuale». A parlare è Miodrag Milicevic della Ong serba Aktiv, l’unica ad avere un ufficio sia a Belgrado che a Pristina, e la sede principale là dove le due comunità dal dialogo impossibile, la serba e l’albanese kosovara, sono a contatto, cioè a Mitrovica. Le barricate sorgono in nove località, a Leposaviæ e Zubin Potok e nel villaggio di Rudare, dove per oggi a mezzogiorno è attesa «la più grande protesta di sempre».
È la risposta alle dichiarazioni rilasciate al Guardian martedì dal premier Albin Kurti: «La preoccupazione (è) che la rimozione delle barricate non possa escludere vittime». Per le orecchie serbe, una minaccia. «Quello che sappiamo è che molti serbi ai blocchi stradali sono dipendenti pubblici (dimessisi in blocco dalle istituzioni miste a novembre, ndr) e del settore sanitario. Si organizzano a turni. Alcune voci riferiscono anche di persone sconosciute apparse sul posto. Ciò che mi preoccupa di più è l’incapacità delle due parti di ascoltarsi. Nel nord si percepiscono le autorità di Pristina solo come estremamente ostili, mentre da Pristina si guarda il nord come abitato da un branco di criminali che minano l’indipendenza del Kosovo».
vladimir putin aleksandar vucic
La tensione è alta sul confine dove al valico chiuso di Jarinje, sul versante serbo, domenica manifestanti di estrema destra hanno tentato di sfondare. A Mitrovica, intanto, vanno in frantumi vetrine di negozi di proprietà serba. «Sul ponte che separa la parte nord dal resto della città c’è un’accresciuta presenza dei Carabinieri italiani (contingente Nato della Kfor, ndr). Sono aumentate anche le pattuglie di Eulex, la missione Ue» prosegue l’attivista che poi pone l’accento, anzi, punta il dito contro le forze speciali della polizia del Kosovo. «Sia chiaro, parlo di forze speciali, non della polizia regolare. La paura tra i cittadini è ben oltre la media per la massiccia presenza di queste unità e le loro intimidazioni». La sua Ong Aktiv ha aperto una hotline per denunciare gli abusi. Lui stesso è stato minacciato e colpito allo stomaco da agenti delle forze speciali.
La paura si mescola alla «grande insoddisfazione», come la chiama l’attivista, dopo alcuni arresti ma soprattutto dopo mesi di frizioni (che un accordo Ue non ha attenuato) sull’immatricolazione delle targhe delle minoranze entro il sistema nazionale. Non una questione da poco, per chi la considera una resa alle autorità di un Paese che non riconosce, visto che l’indipendenza dichiarata da Pristina nel 2008 resta nulla agli occhi della Serbia. «Il dialogo tra Pristina e rappresentanti serbi credibili è l’unica possibilità per riportare stabilità» conclude Milicevic. «Non è troppo tardi, ma certo non si dialoga mandando le forze speciali».
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