Maria Teresa Meli per corriere.it
giuseppe conte dario franceschini
In questi ultimi giorni si sta consumando un vero e proprio braccio di ferro tra il Partito democratico e il presidente del Consiglio. Sul Mes, e non solo. Venerdì chi ha partecipato alla riunione di Giuseppe Conte con i capi delegazione dei partiti è rimasto stupito nel vedere il solitamente flemmatico Dario Franceschini accalorarsi e criticare il premier per la sua gestione della «vicenda Mes». «Non puoi dire un no pregiudiziale», è stata l’obiezione del ministro della Cultura a Conte.
Peraltro questo no a pochi giorni del Consiglio europeo secondo il Pd rischia di indebolire il governo nella trattativa con gli altri stati dell’Unione. Per questa ragione da quel venerdì si sono moltiplicate le prese di posizione dei più autorevoli esponenti del partito a favore del Mes senza condizioni.
Ma Luigi Di Maio, che secondo i vertici del Pd ha ripreso comando del Movimento 5 stelle, appare irremovibile su questo fronte. E il premier stretto trai suoi due maggiori alleati, sta cercando una via di uscita che gli consenta di non scontentare né l’uno né l’altro.
giuseppe conte luigi di maio dario franceschini
Ma la partita tra il premier e il Pd in questi giorni si è giocata anche su un altro terreno. Ossia quello della Commissione presieduta da Vittorio Colao. Il Partito democratico è riuscito a convincere il premier a procedere alla nomina del manager bresciano, ma la Commissione che avrebbe dovuto essere composta di sette, otto persone al massimo, si è fatta assai più affollata.
«È stato Conte a metterci dentro tutte quelle persone per depotenziarla, perché teme che Colao gli faccia ombra», è la spiegazione che viene data al Nazareno. Sia chiaro però che il Pd non ha intenzione alcuna di far salire la tensione con Conte: «Non siamo noi quelli che mirano all’operazione Draghi». Già, i dem resteranno i più leali alleati del premier: in cambio gli chiedono di condividere maggiormente le scelte di governo.