Maurizio Belpietro per La Verità - laverita.info
Siamo sicuri che la macchina del fango non operi dalle parti di Palazzo Chigi? Io no e vi spiego subito perché. Ogni giorno i social network riversano sugli uomini politici, sui giornalisti e su chiunque abbia un po' di visibilità tonnellate di accuse grevi. In passato Enrico Mentana annunciò di voler chiudere il proprio profilo Twitter proprio a causa delle volgarità che riceveva via web e io stesso, pur non rinunciando ai cinguettii, evito di rispondere a sconosciuti in cerca di notorietà che postano ingiurie e stupidaggini: meglio ignorarli che promuoverli a interlocutori.
Ciò detto, è da giorni che mi interrogo sulla ragione per cui il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Luca Lotti, fra i tanti che lo attaccano e scrivono sciocchezze, abbia scelto di mettere nel mirino proprio Beatrice Di Maio, alias Tom masa Giovannoni Ottaviani, un' arredatrice più conosciuta come Titti, ovvero la moglie di Renato Brunetta. Già, perché Lotti, a due settimane dal referendum e con ben sette mesi di ritardo, si è sentito diffamato da un tweet neppure troppo pesante scritto con lo pseudonimo di Beatrice Di Maio.
Come dicevo, in Rete si trova di tutto, spesso baggianate, ma ciò che ha postato Titti-Beatrice, suscitando le ire dell' uomo soprannominato Lampadina, altro non era che una frase contenuta in un brogliaccio giudiziario, ossia un' intercettazione in cui un collaboratore dell' ex ministro Federica Guidi parlava di una foto di Graziano Del Rio con i mafiosi. Titti-Beatrice non fa cenno a Lotti, ma il tweet è corredato da un' immagine del ministro dei Lavori pubblici in compagnia di Renzi, della Boschi e perfino del sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Non c' è un' accusa al braccio destro del premier e nessuna frase che definisca Lotti un mafioso. Tuttavia non si può nascondere che l' accostamento risulti malizioso. Basta per querelare?
Per il sottosegretario alla presidenza del Consiglio evidentemente sì e perciò, il 15 novembre, il suo legale si è presentato ai carabinieri di Firenze sporgendo denuncia contro Beatrice Di Maio. In quel momento nessuno sapeva se Beatrice fosse una persona in carne e ossa o uno pseudonimo. Non lo sapeva, o per lo meno ufficialmente non aveva la possibilità di saperlo, Lotti. Non lo sapevano i carabinieri e neppure la Procura, che il 15 non fece neppure in tempo a prendere visione della querela
Eppure il 16 novembre il quotidiano torinese La Stampa dà notizie di un' inchiesta avviata a Firenze contro un profilo Twitter da cui partono accuse al governo. Nell' articolo si fa un collegamento neppure troppo velato tra il cognome usato nell' account e quello del vicepresidente della Camera, Luigi di Maio, ipotizzando l' esistenza di una struttura del Movimento 5 stelle che in rete diffama gli avversari politici. In pratica, si suppone che la Casaleggio associati e i suoi fan abbiano creato una piattaforma per la cyberguerra politica.
Fango da mettere nel ventilatore, anzi nel computer.
Ma tempo pochi giorni e si scopre, da un articolo dell' ottimo Franco Bechis, che Beatrice Di Maio non esiste, non è una supporter grilli na bensì lo pseudonimo della moglie di Brunetta. E a questo punto vengono spontanee alcune domande. La prima è la più ovvia: come mai, fra tanti che si prendono la briga di attaccarlo nascondendosi dietro l' anonimato o la scarsa notorietà, Lotti ha pescato proprio il nome di Beatrice Di Maio? È stata una scelta casuale oppure consapevole?
Tradotto: Lotti sapeva o non sapeva che Beatrice si chiamava Titti ed era la consorte del capogruppo di Forza Italia? Seconda domanda: chi ha spifferato al giornalista della Stampa la notizia della denuncia ai carabinieri e della struttura segreta pentastellata poi rivelatasi falsa? Difficile che la storia sia uscita da Firenze, più probabile che la manina sia di qualcuno che ruota intorno a Palazzo Chigi.
E soprattutto: chi ha messo sulla strada il bravo collega consentendogli di risolvere il mistero? Come spiega nell' articolo in questa pagina l' esperto Massimo Manarini, scovare l' identità di chi si nasconde in Rete non è la cosa più semplice del mondo, soprattutto se non si dispone dei mezzi della polizia postale, e a ogni buon conto, anche avendoli, per avviare le ricerche non è sufficiente una denuncia, ma serve il via libera di un magistrato.
renato brunetta con la moglie titti
Chi ha montato il caso ipotizzando una Spectre grillina sapeva o non sapeva della signora Brunetta? Voleva colpire il Movimento 5 stelle o aveva nel mirino la sposa di uno dei più acerrimi nemici di SISTEMI SOFISTICATI Oggi è tutto molto più complicato: i sistemi di sicurezza dei vari social ti avvisano in caso di accesso non autorizzato o addirittura di accesso da altri browser o altri pc, poi c' è il doppio si Renzi?
Le domande non sono oziose, soprattutto perché da tempo si rincorrono voci di dossier sugli esponenti dell' opposizione e su apparati dello Stato alla caccia di cose molto riservate. Una ricerca divenuta spasmodica proprio in prossimità della scadenza referendaria. La piattaforma per la cyberguerra politica, insomma, non sarebbe grillina e nemmeno forzista. Forse Gatto Silvestro voleva mangiarsi il canarino Titti, ma non è andata come pensava.