Stefano Re per "Libero Quotidiano"
«Quelli del Pd sono pronti per tornare a combattere per i diritti Lgbt, rigorosamente su Instagram, al rientro di Fedez». È la battuta migliore di ieri e la si deve ai renziani, ogni giorno un po' più lontani dal resto della sinistra.
Sul disegno di legge Zan, infatti, tutto è andato come previsto, quindi malissimo per Enrico Letta. Si è riunita la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama, per decidere quando mettere in calendario il provvedimento sulla "omotransfobia".
E lì la proposta di riscriverne i punti più controversi e proseguire subito la discussione, avanzata da Italia Viva, è stata bocciata da Pd, Cinque Stelle e Leu, che di modifiche non vogliono sentir parlare.
L'esame del disegno di legge riprenderà così dopo la pausa estiva, che con ogni probabilità significa dopo il voto a Roma, Milano, Torino e nelle altre grandi città, nonché nel collegio di Siena, dove Letta si candida per le elezioni suppletive. Seconda metà di ottobre, insomma.
E quando si ricomincerà, tutti i nodi saranno ancora da sciogliere, in particolare quelli che riguardano l'articolo 1 del ddl, con il quale Alessandro Zan e gli altri vogliono introdurre nell'ordinamento il concetto di «identità di genere»; l'articolo 4, che conculca le libertà di espressione garantite dalla Costituzione; e l'articolo 7, che limita l'autonomia di istituti scolastici e insegnanti.
Punti sui quali non solo Italia viva, ma anche gli oppositori a Letta interni al Pd, come il senatore Andrea Marcucci, erano pronti a intervenire, avendo capito da tempo che altrimenti il provvedimento non passa.
LE CORREZIONI DEL TESTO
Allo slittamento deciso ieri in Senato, in altre parole, dovranno comunque seguire importanti correzioni del testo nei prossimi mesi, e dunque un nuovo passaggio del ddl nell'aula della Camera.
Visti i numeri incerti e i provvedimenti governativi che intaseranno i lavori parlamentari nell'ultimo trimestre dell'anno, ai quali seguirà la grande giostra dell'elezione del presidente della repubblica, non si può nemmeno escludere che il disegno di legge Zan, anziché rimandato alle calende greche, sia stato, in realtà, appena affossato.
È un timore diffuso a sinistra, dove proprio per questo motivo, oltre che per divergenze emerse nel dibattito a Montecitorio sulla riforma della giustizia, ieri sono volati stracci e insulti.
Il Pd, Leu e i Cinque Stelle, che avevano promesso ai loro elettori l'approvazione della legge Zan nella formulazione originaria e in tempi rapidi, hanno scaricato ogni colpa sui renziani.
La pasionaria Monica Cirinnà si è distinta un'altra volta, sostenendo che «se Italia viva non avesse cambiato idea sul sostegno già espresso al ddl Zan alla Camera, cercando impossibili e surreali mediazioni e presentando emendamenti che demoliscono il testo, le cose sarebbero andate molto diversamente».
IL RISCHIO DEL VOTO SEGRETO
Non è proprio così. Pochi giorni fa, nel voto palese sulla richiesta del centrodestra di sospendere l'esame del disegno di legge, i contrari, inclusi quelli di Italia viva, l'avevano spuntata per un solo senatore: era la dimostrazione che quel testo, che ha molti detrattori pure dentro al Partito democratico, uscirebbe a pezzi dalle votazioni a scrutinio segreto.
E dunque che è necessario raggiungere un'intesa col centrodestra, o almeno una parte di esso, su una versione condivisa. «Da oggi i diritti sono ufficialmente in vacanza», ribatte quindi il capogruppo di Iv, Davide Faraone, rivolto agli ex colleghi di partito.
«Pd e M5S, che per settimane non hanno parlato di altro, hanno preferito un buen retiro estivo, seguiti dai principali quotidiani, da cui sono scomparsi non solo i titoli, ma anche i trafiletti sulla legge che apriva le prime pagine».