Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
Non è finita. Dopo la pace nel Pd, Pietro Grasso finisce di nuovo nel mirino di Matteo Renzi. «Quella sul calendario è una forzatura», ripetono a Palazzo Chigi. Nella conferenza dei capigruppo al Senato va in scena un vero e proprio braccio di ferro sui tempi della riforma costituzionale. Il Pd e la maggioranza vogliono chiudere l' iter entro l' 8 ottobre. Il presidente del Senato rilancia con la data del 15, per lasciare alle minoranze un maggiore spazio di discussione. Luigi Zanda e gli altri senatori s' infuriano. Alla fine il compromesso sentenzia: 13 ottobre.
Con l' insoddisfazione dell' esecutivo. «Grasso dovrebbe essere il regolatore nella riunione dei capigruppo. Invece ogni volta vuole fare il regista e l' attore», sono le parole stizzite che usa Renzi commentando la vicenda con i collaboratori. L' accusa è pesante: Grasso non fa l' arbitro e va oltre il suo ruolo.
In verità anche questo nuovo passaggio va inserito nel capitolo del pressing e della guerra di nervi tra la seconda carica dello Stato e il premier-segretario.
Grasso non ha ancora sciolto il nodo dell' emendabilità dell' articolo 2, quello sulla modalità di elezione dei senatori e lo farà solo quando il provvedimento arriverà al voto in aula. Dovrebbe andare tutto liscio, in seguito al patto stretto tra renziani e minoranza del Pd.
Ma Renzi non si fida. Spetta poi al presidente del Senato decidere come uscire dalla surreale situazione degli 85 milioni di emendamenti presentati da Roberto Calderoli. Secondo il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi c' è una sola strada. E non è il canguro, ovvero quello strumento con cui modifiche simili si annullano quando se ne vota una. Le proposte del leghista, più semplicemente, non vanno nemmeno ammesse e nemmeno pubblicate.
Questa è la linea del governo. Solo gli emendamenti realmente sottoscritti dal presentante sono validi. «Può bastare l' applicazione del regolamento», dicono a Palazzo Chigi.
In effetti, Calderoli avrebbe firmato soltanto i testi che davvero interessano lui e la Lega. Il resto, il grosso delle modifiche elaborate da un algoritmo, appartengono per il momento al mondo dei fantasmi. Nessuno li ha mai visti, "fisicamente". Sono ormai un numero iperbolico che naviga nell' immaginario collettivo ma nessuno ha mai avuto modo di verificare. «Come una leggenda metropolitana o il mostro di Lochness», scherza un senatore renziano.
Secondo l' esecutivo, quindi, così come sono stati creati andrebbero distrutti, perché il regolamento del Senato ammette esclusivamente gli emendamenti firmati. Una ghigliottina su una testa fantasma.
Ma i regolamenti mille e mille volte sono stati interpretati, rivisti alla luce dei precedenti, tirati da una parte. Allora rimane il dubbio, che si unisce alla stizza per il calendario. Zanda, in un corridoio di Palazzo Madama, si lamenta ma senza fare polemica con Grasso: «Semmai mi sembra poco corretto far filtrare notizie della conferenza dei capigruppo, oltretutto macchiate da versioni di comodo».
La battaglia con le opposizioni è solo all' inizio. Ma Grasso rivendica di aver sminato un po' il campo. «Grazie ai tempi decisi ieri, Sel e la Lega hanno ritirato già milioni di emendamenti. E se lasciamo qualche giorno in più si possono trovare nuovi accordi tra le forze politiche».
Il governo dovrebbe perciò ringraziare perché è stato solo il primo passo per arrivare ai 3000 emendamenti che la presidenza del Senato considera «davvero di merito». In realtà, il sospetto delle minoranze è un altro: Renzi gioca con gli 85 milioni e con i tempi «per far saltare tutto e porre in votazione il testo uscito dalla Camera», insinua un grillino. Rinnegando anche l' intesa dentro il Partito democratico.
Il governo vuole accelerare. Incombe la sessione di bilancio che sulla carta scatta il 15 ottobre. Prima va votata la nota di aggiornamento al Def e un collegato sull' ambiente. E non è ancora risolto un problema della riforma: la platea per eleggere il presidente della Repubblica che con il testo attuale non offre sufficienti garanzie.
renzi grasso napolitano boldrini renzi grasso mattarella