1.RENZI: SINISTRA MASOCHISTA
Marco Galluzzo per il “Corriere della Sera”
Nemmeno Matteo Renzi voterebbe alcuni candidati del Pd, soprattutto in Campania, dov’è intervenuto direttamente, ma evidentemente non abbastanza a fondo. Lo fa sapere in modo chiaro, con un messaggio diretto agli elettori democratici: «Alcuni candidati mi imbarazzano eccome, però dico che le liste pd sono pulite. Abbiamo cambiato ad Ercolano e a Giugliano. Siamo intervenuti in modo molto forte sul Pd. Su alcune liste collegate al presidente si può discutere, ci sono candidati che non voterei neanche se costretto».
E sempre a proposito di Campania il presidente del Consiglio parla in modo positivo anche dell’avversario, «la partita è tra Stefano Caldoro e Vincenzo De Luca. Io non parlerò male dei candidati di Caldoro, che è una persona seria, che si presenta a tutti i tavoli con spirito di collaborazione». Ma nello stesso tempo «De Luca ha le qualità di un buon amministratore», come ha dimostrato «per la città di Salerno».
Le dichiarazioni di Renzi, a tutto campo, rilasciate al videoforum di Repubblica tv , toccano vari punti delle prossime Regionali. Dalla Campania alla Liguria il passo è breve e anche lì c’è un problema: «A Venezia le primarie le ha vinte Felice Casson, che al Senato mi ha votato contro su quasi tutto, ma il partito lo sostiene perché vuole che diventi sindaco».
Invece «in Liguria Cofferati ha perso le primarie ed è scappato col pallone».
La conseguenza è anche una preoccupazione, la spaccatura del Pd locale può per il premier essere determinante. Berlusconi finito? «Occhio, ha più vite di un gatto. E se in Liguria Toti vince è grazie al lavoro fondamentale della sinistra masochista, quella che perde un po’ ovunque, dalla Liguria a Londra».
Ma dire che la sinistra è masochista fa reagire Pier Luigi Bersani: «È una mistificazione, abbiamo visto che si può vincere essendo fedeli agli ideali di un centrosinistra alternativo alla destra. Poco o tanto, dall’Ulivo in poi abbiamo sempre vinto così». E sempre a proposito di sinistra da Renzi arriva una stoccata a Massimo D’Alema: «Non è che siccome non c’è lui non c’è sinistra. Questo gruppo dirigente è plurale. Abbiamo cambiato passo, serve una nuova sinistra per un nuovo futuro del Paese».
Da respingere al mittente le critiche sulla legge elettorale, «pretestuose, è un passo di civiltà. Hanno parlato di e poi mi hanno proposto il Mattarellum, con cui il Pd delle Europee avrebbe preso 511 seggi».
La prossima tappa è la riforma del Senato: «Entro luglio faremo la III lettura. Il referendum sarà nel 2016 e lì ci sarà il grande bivio tra chi vuole cambiare ed il comitato del no che andrà da Salvini a Grillo a Berlusconi fino a Landini, sai che spettacolo...». Parole nette anche sull’eventuale addio al Pd di Stefano Fassina: «Spero che rimanga. Se non rimane però è un problema suo, non nostro». Ma l’ex capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, non è d’accordo: «Sarebbe un problema di tutti».
2. FASSINA: ORMAI IL PREMIER GUARDA A DESTRA
Giovanna Casadio per “la Repubblica”
«Sono pronto a lasciare il Pd se non cambia radicalmente la riforma della scuola». Stefano Fassina è sul punto di uscire dal partito: «Dopo il Jobs Act e le questioni istituzionali - attacca - il Pd si è riposizionato, in modo da accreditarsi a destra». Con il premier non c’è mai stato feeling. Tanto che una delle prime battutacce di Renzi, diventato segretario, fu di minimizzare le critiche di Fassina con un “Fassina, chi?”.
Fassina, il Pd - dice Renzi - è e resta un partito di sinistra. Lei invece non è di questa opinione?
«Non è un’opinione, ci sono i fatti che parlano. Uno non se lo dice davanti allo specchio che è di sinistra. Neanche il ripescaggio della simbologia storica - mi riferisco al brand delle feste dell’Unità - copre lo spostamento, meglio il riposizionamento di cultura politica, di programma e di interessi rappresentati. E gli esempi sono tanti».
Facciamone qualcuno.
«Innanzitutto il lavoro. Quando Renzi è venuto a presentare la delega-lavoro in aula ha motivato l’intervento con il paradigma dell’apartheid, che scarica sui lavoratori con qualche residua tutela, il problema della disoccupazione e della mancata crescita. È il paradigma introdotto da Reagan. C’è poi il disegno plebiscitario, imposto con il voto di fiducia sull’Italicum: uno sfregio al Dna costituzionale del Pd. Con una mano inoltre si danno 80 euro a chi ha un lavoro, con l’altra si riprendono con tagli al welfare locale. L’atteggiamento di ottusa arroganza nei confronti dello sciopero di 618 mila lavoratori della scuola è l’ultimo esempio di un premier che colpisce sistematicamente gli interessi economici e sociali rappresentati dalla sinistra per accreditarsi a destra».
stefano fassina e cesare damiano
La “sua” sinistra è quella che il premier definisce “masochista”, che non vince e si accontenta di un 25%?
«Abbiamo per la verità vinto nel 1996 e nel 2006. Vincere è condizione necessaria per la politica, ma è un mezzo per cambiare la società. Mentre per Renzi è un fine da raggiungere con qualunque mezzo. Anche spostandosi sulla piattaforma della destra».
Seconde lei, il Pd è diventato un partito centrista?
«È diventato un partito dell’establishment, sostanzialmente in asse con l’agenda tedesca che domina in Europa, con un impianto liberista sul terreno economico e sociale e plebiscitario sul terreno della democrazia».
La conseguenza di questo suo giudizio è che uscirà dal Pd?
«Senza radicali modifiche al disegno di legge sulla scuola, senza cioè cancellare il potere dei presidi di chiamare i docenti, senza una soluzione dignitosa per gli insegnati precari e, ripeto, dopo la svolta liberista sul lavoro, dopo le revisioni regressive della Costituzione e sulla legge elettorale, il mio percorso parlamentare nel Pd diventa insostenibile».
Renzi tuttavia le chiede di restare?
«Mi sembra una richiesta rituale. Serve un’inversione di marcia».
Per il premier, se va via dal Pd tanto peggio per lei? È un suo problema?
«Renzi non riconosce il problema politico, che non è il sottoscritto, ma lo pone una parte significativa del popolo dem che ha già lasciato il Pd».
Pensa nascerà una forza politica alla sinistra del Pd?
«C’è evidentemente una domanda di rappresentanza, che viene dal lavoro, dalla scuola e da chi non ce la fa. Non trova risposte nel Pd di Renzi».
È pronto a un progetto con Pippo Civati, che ha appena lasciato il Pd, e con la “coalizione sociale” di Landini?
«Con Civati e con gli altri parlamentari dem che hanno tentato di correggere le cosiddette riforme ci sentiamo e continueremo a sentirci».